La necessità di fermarsi per riscoprire motivazioni, ridare nuovo slancio, aprire il confronto e il dialogo, vivere la comunione: è questo che ci spinge a vivere i giorni della Settimana dell'educazione, dal 21 al 31 gennaio 2015.
don Samuele Marelli
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi
Educare è un’«arte» che va esercitata sul campo e in azione. Ma a volte occorre anche fermarsi per pensare, puntualizzare e avanzare.
La Settimana dell’educazione, che tradizionalmente si pone fra la memoria di sant’Agnese (21 gennaio) e la memoria di san Giovanni Bosco (31 gennaio) – quasi a racchiudere il «femminile» e il «maschile» in un confronto aperto –, sembra uno dei momenti opportuni per fare una sosta e aprirsi alla riflessione.
L’incapacità di richiamare se stessi e gli altri a una pausa, per meditare e mettersi in dialogo, e la continua corsa per rispondere alle urgenze, facendosi prendere solo dall’ordinario, sono segnali pericolosi di omologazione ad un mondo che va troppo in fretta e che risente di una frammentazione contagiosa che intacca le relazioni e i progetti di vita.
Nel bel mezzo del decennio sull’«educare», in vista del quinto convegno ecclesiale che si terrà a Firenze nel novembre di quest’anno, la Chiesa italiana pone l’attenzione su un «umanesimo» che si rinnova alla luce dell’incarnazione del Figlio di Dio. Si legge nella «traccia per il cammino» verso Firenze: «In Gesù Cristo la verità dell’uomo è manifestata al pari di quella di Dio» e ancora «Grazie a Gesù, Dio rivela le profondità di se stesso svelando al contempo all’uomo chi egli sia veramente».
Il nostro Arcivescovo, con uno sguardo rivolto a Expo 2015, ha richiamato gli stessi temi nell’ultimo «Discorso alla città», affermando anche che «per i cristiani la via per testimoniare un nuovo umanesimo inizia dall’esistenza di tutti i giorni. Si tratta di condividere l’esperienza a loro familiare che l’incontro con Gesù e la vita con Lui nella comunità cristiana rende possibile un modo più conveniente di amare e generare, di lavorare e riposare, di educare, di condividere gioie e dolori…» (A. Scola, «Un nuovo umanesimo», Centro ambrosiano, p. 26).
Dentro questo orizzonte, gli educatori possono e devono fermarsi a riflettere e coinvolgere il più possibile quanti intercettano la vita dei ragazzi o dei giovani. Insieme si possono trovare strade per dare alle giovani generazioni nuova speranza, nuove possibilità per crescere nella serenità e nella pace, nuove occasioni per una vita di relazione che sia il collante che unifica l’esistenza e la apre ad una progettualità che per noi si chiama «vocazione» (cf. il libretto «Segni di unità – educatori alla scuola di Montini»).
C’è davvero in gioco tutto questo, in un particolare momento in cui anche la pastorale giovanile sta cercando di rinnovarsi (cf. «prospettive di pastorale giovanile»).
Di temi ce ne sono molti e vanno messi giustamente tutti in fila, per non appesantire il pensiero e l’azione. Ma occorre dare il tempo al discernimento. L’idea della «comunità educante», come metodo educativo, può dare forma e contenuto alla condivisione, affinché insieme sia possibile essere «costruttori di nuova umanità».