Come materiale integrativo e di approfondimento del nuovo sussidio dedicato alla catechesi per i giovani (“Come fratelli. Testimoni dell’amore di Dio”) è stata raccolta la testimonianza di don Giuseppe Scalvini sulla realtà dell'ospedale.
A cura del Servizio per i Giovani e l’Università
Come materiale integrativo e di approfondimento del nuovo sussidio dedicato alla catechesi per i giovani (Come fratelli. Testimoni dell’amore di Dio) sono state raccolte alcune testimonianze.
Nel sussidio si possono trovare 3 termini fondamentali: Parola, Pane e Poveri. I giovani, infatti, possono essere accompagnati alla conoscenza vitale di Gesù oggi attraverso la Parola (e in particolare quest’anno viene proposta la lettura continuativa del Vangelo di Giovanni), attraverso il Pane che ci chiama alla celebrazione e alla adorazione della Eucarestia, attraverso i Poveri che siamo chiamati ad amare e dai quali lasciarci convertire.
La testimonianza raccolta è relativa ai Poveri: in particolare abbiamo ascoltato le parole di don Giuseppe Scalvini, cappellano del Policlinico di Milano da 7 anni, che ci ha raccontato la realtà dell’ospedale.
L’ospedale è un microcosmo in cui c’è la possibilità di incontrare gli altri e di farsi incontrare. Don Giuseppe, infatti, racconta come non debba andare lontano per incontrare le persone, a differenza dei sacerdoti che vivono in parrocchia. Egli passa per i corridoi, saluta i pazienti e da qui possono nascere saluti cordiali, ma veloci, oppure incontri profondi che diventano un accompagnamento o ancora possono generarsi percorsi di amicizia che continuano per tutta la vita.
Don Giuseppe afferma che la prima povertà che incontra in ospedale è la propria: “Quella di un uomo che tutti i giorni deve ricominciare, deve dire il suo sì a Dio, così da poter essere un povero sereno in mezzo ai poveri”. Poi i poveri che incontra sono persone malate fisicamente o psichicamente, ma anche persone ammalate spiritualmente. Ma la cosa fondamentale è ricordarsi sempre che chi si incontra è una persona, una persona povera, non un povero. Avere chiaro il concetto di persona è sempre fondamentale, perché permette di non vederla come un problema ma come una persona che ha un problema. Il povero è una persona che ha una povertà, non è una povertà. I poveri, inoltre, ti mettono di fronte a te stesso: questo ha capito don Giuseppe lavorando in ospedale; essi ti fanno capire la tua disponibilità ad incontrare o la tua indisponibilità ad incontrare, “perché per incontrarsi tra poveri bisogna incontrarsi prima di tutti tra persone, cioè bisogna essere disposti a rischiare, non avere barriere, pregiudizi, preconcetti rispetti all’altro”.
Di Gesù ha capito poco, racconta don Giuseppe, ma quel poco è meraviglioso e fa venir voglia di continuare a stare alla sua scuola per capire di più. Egli afferma di aver compreso che i poveri sono proprio coloro che rivelano Gesù, perché Lui si è messo dalla loro parte: “Quello che mi stupisce e mi meraviglia sempre è vedere come Lui trova sempre, sempre, sempre il modo di essere dalla parte di chi è piccolo, di chi è povero, di chi ha sbagliato, di chi in qualche modo non è alla pari. E ho capito che Lui questa cosa non la fa una volta e per sempre, la fa ogni volta, per ogni volta con ciascuno”.
In conclusione della sua testimonianza don Giuseppe racconta come abbia capito che “il mondo, ovunque tu ti trovi, anche in ospedale, ti chiede di essere amato. Quando tu ami, dandone la prova, allora cominci a guardare il mondo come lo vede Dio. […] Non ti scandalizzi del mondo ma lo scegli come il luogo nel quale si può manifestare il tuo amore per Dio e dove si manifesta l’amore di Dio per te. È sfidante il mondo, è provocante, è anche pieno di insidie, però sono più le bellezze che le insidie. Dipende da che cosa uno sceglie di guardare. Se scegli ciò che è bello e ti innamori della bellezza del mondo e lo ami dandone la prova, il mondo diventa il luogo nel quale puoi essere un testimone credibile, che ti rende credibile perché ti corregge, perché ti sollecita ad essere vero”.