Presentiamo una riflessione sul tema della chiamata di Dio a partire dal testamento spirituale di Gesù (Gv 17).
a cura di suor Chiara
di Brigida
Missionarie dell'Immacolata - PIME
Questo è lo stile di Gesù. Lui ci ha dato l’esempio e noi tutti siamo chiamati a portare questa parola di salvezza a tutte le genti.
Come possiamo farlo? Ciascuno secondo la propria particolare condizione vita. Per ognuno c’è una chiamata. Per me è stata la chiamata alla vita religiosa e missionaria come suora dell’Immacolata del PIME, inviata alla Chiesa del Brasile Nord, in Amazzonia. I luoghi e i modi possono variare ma la chiamata è la stessa: siamo chiamati ad essere evangelizzati per poi evangelizzare qualsiasi persona che incontriamo e in qualsiasi luogo viviamo. Dobbiamo essere testimoni del nostro personale e intimo incontro con Gesù. L’impresa sembra ardua e lo è, non lo nascondo, ma non dobbiamo avere paura di puntare in alto, di lasciarci amare da Dio e di lasciarci trasformare per poter essere quel sogno che Dio ha fatto su di noi. Questo cammino ci rende felici se lo viviamo nella presenza costante di Dio; non senza difficoltà ma lasciando che la Sua forza tocchi con tenerezza le nostre fragilità, le nostre debolezze. Questa vita è possibile!
La chiamata è un dono che abbiamo ricevuto e che dobbiamo vivere facendoci prossimi e intercessori dell’altro. La vita cristiana ci chiede di metterci nel mezzo per portare la novità del Vangelo. Non ci sono ricette per questo, credo lo si impari vivendo. A questo proposito vorrei raccontarvi un breve episodio che ho vissuto in missione. Nella periferia di Belém, una città nello stato del Parà, ho lavorato per qualche anno con un gruppo di adolescenti che vivevano in condizioni di povertà e di miseria. Il mio desiderio era di toglierli dalla strada e di creare un gruppo di amicizia e condivisione, cercando di essere io stessa una testimone cristiana credibile. Il mio impegno, quindi, è stato quello di organizzare incontri, creare possibilità di piccoli servizi all’interno della parrocchia e soprattutto di essere una presenza in mezzo a loro. Anche se tutti abitavano nello stesso quartiere, le differenze erano enormi e spesso e volentieri gli incontri finivano male. A livello religioso, poi, le differenze erano ancora più marcate. Eravamo un gruppo composto di varie denominazioni cristiane e sette religiose. Però, i temi che affrontavamo toccavano la vita di tutti: scuola, famiglia, povertà, ingiustizia, droga, morte, violenza, sogni, fede, amore, amicizia, lealtà. Insieme siamo riusciti a creare un luogo dove tutti eravamo alla pari, con l’impegno di conoscerci e rispettarci a vicenda. Ben presto il clima di fiducia ha fatto sì che le condivisioni diventassero molto profonde e personali. Più condividevamo le nostre vite fatte di fatiche, ma anche di speranze e più ci univamo e più, oserei dire, ci volevamo bene. Sono stata testimone, attraverso questi ragazzi, di come la preghiera di intercessione che si fa vita è possibile. La costanza nello “stare in mezzo” anche nelle situazioni più difficili e controverse, come quelle vissute nella loro quotidianità, in famiglie e nella società, è stata per me l’esperienza del dono reciproco. Questo mi ha fatto crescere umanamente e spiritualmente.
Vorrei concludere con queste parole di papa Giovanni Paolo II: “In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità […]; è Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna” (Papa Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della Veglia nella XV Giornata Mondiale della Gioventù, Tor Vergata, 19 Agosto 2000). Per me sono state parole decisive nel momento della scelta di come volevo spendere la mia vita. Prego per tutti voi, perché troviate con la vostra vita il modo migliore di rispondere alla chiamata di Dio. Non è mai troppo tardi!