Giovedì 23 maggio si è tenuta una tavola rotonda sull’Unione europea: un'occasione durante la quale insieme ad un gruppo di giovani e sotto la guida di persone competenti in materia ci si è interrogati su parole quali responsabilità, comunità, gratitudine, declinandole in chiave europea in vista delle elezioni del Parlamento europeo che si terranno l'8 ed il 9 giugno 2024: riportiamo una sintesi di quanto emerso durante la riflessione a più voci

Letizia Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università

Tavola rotonda sull'Unione europea - Sito

In queste ultime settimane alcuni giovani, appositamente preparati, hanno incontrato gruppi di loro coetanei, raggiungendoli nelle realtà territoriali della Diocesi, per sensibilizzarli sull’importanza del voto per il rinnovo del Parlamento europeo, a cui saremo chiamati l’8 e il 9 giugno.

In questo percorso si sono inserite anche altre iniziative, tra le quali una tavola rotonda sull’Unione europea, che sempre alcuni giovani hanno vissuto insieme giovedì 23 maggio, in piazza San Giorgio a Milano.

Un segno, come ha commentato don Marco Fusi, responsabile del Servizio per i Giovani e l’Università, che ci sono «giovani credenti interessati a questo tema e forse proprio attraverso l’Europa possono riscoprire una certa passione per la politica, per ciò che è di tutti. Una bella opportunità questa: che la passione e l’interesse per la politica passino a livello giovanile attraverso il tema dell’Europa. Anche a livello ecclesiale è bello avere questo respiro europeo: del resto abbiamo vissuto la Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona e anche altri momenti che ci hanno permesso di incontrare chi vive la fede in un modo differente dal nostro. Anche modi differenti di vivere la fede dicono, infatti, della bellezza dell’Europa e della Chiesa europea!».
È un incoraggiamento, questo, che ci indica che è possibile stare e vivere insieme, cercando l’unità non tra uguali ma tra Paesi differenti tra loro.

Tre le parole che hanno fatto da filo conduttore al dialogo della tavola rotonda, moderato da Gabriele Pendola, durante il quale sono intervenuti Gianni Borsa, presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana e corrispondente dell’agenzia di stampa SIR da Bruxelles, padre Giuseppe Riggio, gesuita e direttore della rivista “Aggiornamenti sociali”, e tre giovani appassionati di politica per professione, progetti o interesse personale, Filippo Bini Smaghi, Anna Zambon e Sofia Meroni.

Responsabilità. Pensata, ha spiegato Filippo, come «responsabilità sia di chi va a votare (scrivendo il nome di una persona sulla scheda: è un segno di responsabilità), sia di chi viene eletto (qualcuno ha indicato il tuo nome: hai una responsabilità maggiore). Responsabilità che può essere declinata in più aspetti: dei cittadini, della gestione delle risorse, sociale, ambientale, nella cooperazione internazionale, delle istituzioni europee, personale e collettiva…».

Anna ha poi rilanciato con una riflessione: «Il tema della responsabilità individuale si inserisce in un quadro di collettività. Pensare alle elezioni, in occasione delle quali bisogna esprimere una preferenza, mi fa pensare alla vita: se non la scegli, lei sceglie comunque per te. Questo è molto legato al tema diritti-doveri. Cos’è il voto per te: responsabilità, diritto, dovere?».

Una bellissima parola (responsabilità) per padre Giuseppe Riggio, oggi forse vissuta più che altro come gravosa, che significa invece essere innanzitutto nella condizione di poter far qualcosa e poter dare una risposta. «Se noi riusciamo a riscoprire questa radice, la responsabilità forse si capovolge: non è più un peso, ma una possibilità, un poter fare. Nell’elenco delle dimensioni di responsabilità questo “poter fare” diventa il non delegare ad altri; non delegare oggi è fondamentale anche in relazione a questa dimensione del voto».

Il tema della responsabilità mette inoltre in luce l’importanza di informarsi, di andare a votare in modo consapevole, di invitare altri a farlo. Scegliere è un modo in cui non lascio ad altri decidere: sono io che assumo quel pezzo di responsabilità che mi compete, quella parte di contributo che posso dare. In fondo, essere responsabile significa, allargando lo sguardo, partecipare. «In questa dinamica che oggi noi ci troviamo a vivere capiamo che la partecipazione è innanzitutto riconoscere che sono parte di una comunità, che ne sono responsabile e responsabile per altri; e dal partecipare capisco che non sono da solo a dovermi far carico di qualcosa, che la responsabilità si vive in modo condiviso. Se pensiamo all’esperienza del Parlamento europeo c’è un imparare a stare con gli altri, anche se c’è una comune famiglia politica…; c’è una necessità di conoscersi e imparare progressivamente a lavorare insieme in vista di un obiettivo, che non è astratto ma concreto. Uno dei pezzi di responsabilità che ognuno di noi ha è di passare dall’astrazione, dalla teoria, alla concretezza».

Altro concetto messo in evidenza è che la responsabilità implica un prendersi cura. Si è responsabili in vista di qualcosa e per qualcuno. La responsabilità in chiave europea va ben capita, perché la responsabilità, che è una cura per gli altri, se non si accompagna a una buona conoscenza di ciò che ciascuno è chiamato a fare, porta poi a non sapere a chi dobbiamo chiedere conto di ciò che ha fatto o non fatto e porta poi chi è chiamato ad assumersi responsabilità a sfuggire a tutto questo, perché nell’incertezza e nella confusione finisce con il non essere identificato.

Sofia ha aggiunto: «La responsabilità non termina quando andiamo a votare l’8 e 9 giugno, ma è a lungo termine. Significa rimanere impegnati, in tantissimi modi diversi: è una possibilità per esercitare la responsabilità, ad esempio, far parte di un’associazione, andare a un incontro formativo, essere partecipi sul proprio territorio, partendo dal piccolo…, azioni semplici per essere cittadini e cittadine attivi. È richiesto come giovani di farci sentire, essere attivi! È una parola bella “responsabilità”, che richiede un impegno da parte di tutti».

Comunità. Declinata su tre direttrici temporali: passato, presente, futuro.
Una parola scelta da Anna, con riferimento al passato, pensando a chi ha fondato l’Unione europea, concepita come comunità da subito, fin nella sua fase embrionale. Questo ci lascia una domanda: «Nel periodo più buio abbiamo concepito l’Unione europea come comunità, che è un’eredità grande: come poterla portare avanti?».
Riguardo al presente, tornano invece alla mente fatti come la Brexit, che raccontano come ad alcuni Stati membri l’Unione europea stesse e stia stretta, o conflitti come i Balcani e l’Ucraina, che hanno visto e vedono come teatro l’Europa. «Come può oggi l’UE stare in questi grandi appuntamenti della storia? Come può definirsi comunità oggi?». L’Unione europea, è stato ribadito, si deve presentare come comunità di fronte alle grandi sfide, alle quali come giovani non possiamo sottrarci (pensiamo anche ai temi dell’ambiente, del declino demografico, dei flussi migratori). «Come si può porre come comunità credibile senza lasciar indietro nessuno?».
E, infine, il futuro. Noi giovani desideriamo stare in questo cambiamento d’epoca. Ma pensando al tema dell’allargamento e a come accogliere nuovi Stati, differenti dagli Stati membri, «come possiamo accogliere in modo qualitativo, non quantitativo?».

«Io credo – ha aggiunto Gianni Borsa -, che la prima cosa che dobbiamo riconoscere alla politica è che vada intesa come risposta concreta alle attese, alle esigenze, ai problemi della vita delle persone, non di un singolo individuo ma di una comunità. Per questa comunità quali sono le cose più urgenti, le richieste più pressanti, che toccano la vita delle persone, magari a partire da quelle meno tutelate, dai fragili, dagli ultimi, dai poveri? Noi possiamo immaginare che responsabilità e comunità si toccano e non possono che camminare insieme».

Inoltre, durante il dibattito, è stato sottolineato che l’elettore ha un diritto di voto, di scegliere i politici migliori per il proprio futuro, ma anche un dovere, quello di informarsi. Chi votare? Quali partiti, candidati, leaders? Come capirlo? Attraverso le opportunità più diverse: partecipare ad un incontro come questo, magari leggere un giornale, “persino” sfogliare un libro, vedere un telegiornale, utilizzare i social in maniera utile ad una conoscenza europea, scambiarsi pareri, dialogare…; ma non c’è diritto al voto consapevole al quale non corrisponda la fatica di informarsi, altrimenti cadiamo nell’altro pericolo, grandissimo, di affidarci semplicemente agli slogan di chi grida di più, è più comunicativo di altri, magari usa parole più roboanti e slogan particolarmente accattivanti; ma, chiediamoci sempre: vanno al dunque delle questioni? Della politica dobbiamo assumere la complessità, guardandoci da chi ci dice: “in quattro quattr’otto ci penso io a risolvere le cose” (es. il cambiamento climatico, i problemi di bilancio). A questioni complesse non esistono risposte semplicistiche.

Un’altra parola, che è risuonata più volte durante la tavola rotonda, è stata quella della “pace”. Chiediamoci per noi cos’è la comunità, cos’è la responsabilità; e domandiamoci sempre: tutto questo, messo insieme, crea la pace?

Infine, l’Europa evoca casa, speranza, opportunità e… gratitudine, parola richiamata a conclusione dell’incontro da Sofia: “Per cosa tu sei grato all’Unione europea? Cosa fa per te?”. Questa riflessione può aprirci una nuova prospettiva circa l’andare a votare, che si deve tradurre in un impegno da portare avanti, accompagnato da un senso di gratitudine che forse non ricordiamo più o diamo per scontato. «La gratitudine costruisce ed è l’auspicio più bello a un passo dal voto, dal poter scegliere, per costruire il nostro futuro».

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