In occasione della sua visita pastorale, sua Ecc.za Mons. Mario Delpini ha incontrato i giovani del decanato Cinisello Balsamo: un'occasione di preghiera e di dialogo, durante il quale l'Arcivescovo ha incoraggiato i giovani e ha consegnato loro qualche sentiero prezioso da percorrere, su cui anche noi possiamo riflettere, per essere “luce” e testimoni gioiosi del Vangelo lì dove viviamo
Letizia
Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università
Nella serata di giovedì 23 novembre 2023, l’Arcivescovo Mario Delpini, in occasione della sua visita pastorale, ha incontrato i giovani del decanato di Cinisello Balsamo.
L’accoglienza con i giovani e alcuni 18/19enni della città, che ha dato inizio alla serata insieme all’oratorio Pio XI, parrocchia S. Martino, è stato un intenso momento di preghiera che cerca di dare voce al percorso che stanno seguendo quest’anno: un segno bello che ricorda la loro esperienza, che hanno chiamato “Sera di Emmaus”, un giovedì al mese in cui i giovani possono raccogliere l’invito a fermarsi in adorazione davanti all’Eucaristia.
Al centro del salone una croce-ostensorio molto particolare, realizzata da un artista cinisellese con materiale di scarto, che per i giovani ha un valore speciale: proprio i giovani, durante l’adorazione, hanno iniziato ad aggiungere altri “scartini” di legno, a rappresentarli.
Davanti a questa croce, che testimonia alcuni passi del loro cammino di fede, i giovani, con semplicità, per esprimere con un gesto concreto quanto hanno nel cuore, hanno chiesto anche all’Arcivescovo di scegliere uno “scartino di legno”, da firmare, e porre tra gli altri: rimarrà sempre così il ricordo della sua presenza fra loro, in questa serata di incontro, e come simbolo della loro appartenenza alla Chiesa diocesana.
Canti e preghiere hanno accompagnato questo momento. «Molti di noi hanno ancora nel cuore la gioia della fede condivisa a Lisbona, nei giorni della Gmg e del cammino di preparazione vissuto l’anno scorso, con la guida di Maria ed Elisabetta». Seguono il Magnificat e alcuni ringraziamenti.
Ci si sposta in un altro salone, dove campeggia un grande “Benvenuto Mario” per la cena condivisa insieme, possibilità di conoscenza reciproca e di amicizia; sono presenti anche don Marco Fusi, responsabile del Servizio per i Giovani e l’Università, don Antonio Novazzi, Vicario episcopale per la Zona VII, e il decano don Federico Bareggi. Sulle tovaglie colorate, sono appuntate le domande dei giovani, frutto di un lavoro approfondito di confronto su cinque tematiche e dimensioni della vita cristiana, dalle quali, facendo sintesi, sono state poi tratte le riflessioni che vengono poste all’Arcivescovo, nel dialogo-confronto insieme con i giovani, per chiedere un rilancio che possa illuminare il loro cammino nella società di oggi: emerge un vissuto di fede che viene percepito come affascinante e coinvolgente ma che nello stesso tempo custodisce alcune fatiche.
La prima domanda si focalizza sul rapporto personale con Gesù: «La maggior parte di noi – spiegano alcuni giovani – vive un bel rapporto personale con Gesù perché lo vediamo come un amico, un confidente che ci protegge e non ci giudica e con il quale coltiviamo un rapporto quotidiano. A volte, però, alcuni di noi faticano a sentirsi appartenenti alla Chiesa e a partecipare ai momenti rituali come la Messa e, sicuramente, il sacramento più faticoso da capire è quello della Riconciliazione. Quali gesti concreti per trovare allora nei momenti comunitari la profondità del rapporto personale con Gesù?». L’Arcivescovo incoraggia ad approfondire la domanda, proponendo alcuni spunti, necessari per comprendere cosa si cerca realmente: «di che cosa ho sete? Cosa realmente desidero? Riconoscere la nostra appartenenza alla Chiesa, siamo qui perché siamo stati “portati” da una comunità, la famiglia, da qualcuno… essere grati. Ma io cerco qualcosa o sono solo in un parcheggio, cercando di far passare il tempo e non c’è nessuna sete? Ecco: domandarsi qual è il desiderio profondo che c’è in me. Poi il tema dell’Annunciazione, qualcuno mi ha annunciato un motivo di gioia?» Sappiamo che “Kaire”, rallegrati, è una parola tanto cara al nostro Arcivescovo, che sottolinea: «La nostra vita è piena di angeli che ci dicono qualcosa di Dio (magari la tua nonna, il tuo prete, la tua catechista… quale angelo ha parlato e quale annunciazione ho ricevuto?)». Impossibile non pensare a Lisbona, alla Gmg, dove la presenza di Dio, le parole del Papa e persino il silenzio hanno provocato i giovani. Qualche volta però l’angelo arriva e noi, distrattamente, diciamo “aspetta”, non abbiamo tempo e cuore per ascoltarlo. O a volte si insinua il sospetto, l’annuncio non mi convince; «L’altro punto da domandarci è: perché non mi fido?».
Come gesto concreto che possa aiutare a vivere meglio la dimensione comunitaria della fede suggerisce il silenzio: avere momenti (come quello dell’adorazione una volta al mese che già praticano) in cui fermarsi, e mettersi silenziosamente, e pazientemente, davanti al Signore. Altrimenti, tutto passa via…
La seconda riflessione ha portato i giovani a chiedersi: «Si può scegliere di essere cristiani scegliendo di non condividere la morale della Chiesa? Si può credere in Dio ma non nella Chiesa?». Il rischio, spiega l’Arcivescovo, è di vivere di impressioni e luoghi comuni, ovvietà e pregiudizi, di fronte a questo tema: «Cosa sai della morale della Chiesa? La morale della Chiesa è la descrizione particolare di quello che significa appartenere, seguire Gesù. Il centro è questo: tu cosa vuoi fare nella vita, che uomo o donna vuoi essere? Quello che per me è determinante è capire cosa Gesù mi chiede, il mio riferimento, che mi aiuta a capire cosa voglio fare nella vita, cosa è bene o male?».
I giovani che frequentano l’oratorio sono solitamente molto sensibili al tema del servizio e spendono in tanti modi le loro energie e le loro capacità, come educatori e volontari, per il bene dei ragazzi e della comunità.
Si sono chiesti: «Tra 10 anni troverò il tempo per andare a fare servizio di carità? E cosa è carità? Tutto quello che faccio in oratorio è carità? È più importante andare a Messa o aiutare il prossimo e fare un gesto di carità? Chi è più cristiano? Chi fa il bene o chi va a Messa?».
Non ci sono ovviamente classifiche e graduatorie, l’alternativa è un po’ artificiosa. «Io – commenta l’Arcivescovo – ho visto un bene ammirevole, straordinario, nella vostra città e nelle vostre parrocchie. La domanda che pone l’alternativa è interessante, ci riporta al cuore di cosa vuol dire essere cristiani e per questo il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni ci illumina: il frutto che si deve portare è il comandamento dell’amore, nel modo in cui si vuole bene, ecco la carità cristiana, che è uno stile di vita, un modo di vivere lo studio, la famiglia, la propria vocazione, mettendo a frutto i propri talenti».
Alla questione «Quali sono i comportamenti cristiani e chi decide se determinati comportamenti sono cristiani oppure no?», l’Arcivescovo consiglia di non essere troppo facili nel giudicare gli altri, non possiamo giudicare, è difficile e anche sbagliato, ciascuno ha la sua vita e solo il Signore può essere giudice. La domanda è impegnativa perché chiede come essere cristiani coerenti in contesti dove ci espone spesso a una specie di isolamento, antipatia o disagio, professandosi cristiani. Come il sale che porta sapore, però, ha invitato a non essere come gli altri, ma di custodire la fierezza e la gioia di essere di Gesù… anche se essere originali, testimoni, è una cosa scomoda. «La gioia dei cristiani, anche nelle tribolazioni, è la più grande testimonianza. La nostra vita è una vocazione, costruiamo la vita come una risposta. E contrariamente ad altri, noi non pensiamo che siamo destinati al nulla, con la morte. È la speranza (di vivere eternamente con Dio), con la gioia e la vocazione, la sintesi cristiana che dice la gioia di appartenere a Gesù».
«Il nostro vissuto cristiano – concludono i giovani – è caratterizzato da un forte desiderio di provare a vivere la pace nella nostra quotidianità. Attraverso piccoli gesti frequenti ci sforziamo di portare una pace quotidiana nelle relazioni con le persone che incontriamo. Allo stesso tempo ci sentiamo spesso inadeguati, troppo piccoli di fronte alla enormità del male che ci circonda. Come mi pongo e mi vedo in un mondo sempre più diviso, violento e in pericolo? Per essere concretamente “luce” basta la preghiera?». «Condividiamo, rivela l’Arcivescovo, un senso di impotenza su questo tema di grande attualità». La nostra visione del mondo è però parziale, basata sulle idee che ci facciamo del mondo in base alle notizie che riceviamo. Una consapevolezza critica ci chiede di portare avanti quello che ci compete e di farlo bene. Dalla preghiera, che è vivere il rapporto personale con Gesù diventando partecipe della sua vita e dei suoi sentimenti, deriva la gioia, la fiducia e l’intraprendenza, con responsabilità, per mettere a frutto i propri talenti.
Un confronto serio, significativo, ha messo in dialogo l’Arcivescovo con i giovani del decanato di Cinisello Balsamo, venuto a incontrarli nelle loro realtà, per incoraggiarli e consegnando loro qualche sentiero prezioso da percorrere, su cui anche noi possiamo riflettere, per essere “luce” e testimoni gioiosi lì dove viviamo.