In occasione della visita pastorale nel Decanato di Carnago, l’Arcivescovo ha incontrato i giovani, ha dialogato con loro e li ha invitati ad accendere la gioia attraverso la loro gioia, a diffondere la fede attraverso la loro fede, a suscitare altre voglie di fare il bene attraverso la loro stessa voglia di fare il bene
Letizia
Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università
«Sono contento di vivere questa serata con voi, in amicizia, fraternità e dialogo – ha salutato così i giovani l’Arcivescovo Mario Delpini -. Mi fa piacere vedervi, stare con voi; mi fa piacere anche la coincidenza con la memoria di S. Bonifacio, un uomo infaticabile nel desiderio di portare il Vangelo agli altri, invitandoli a far parte della Chiesa», che viene ricordato, come esempio interessante, nel giorno della sua memoria, martedì 4 giugno, nella preghiera dei vesperi che dà inizio alla serata di incontro tra l’Arcivescovo Mario Delpini ed i giovani del decanato di Carnago, nella chiesa di San Martino.
«Non a tutti noi – ha continuato – è chiesto di fare imprese così grandiose ma a tutti è chiesto di parlare di Gesù agli altri e invitarli a far parte della nostra comunità, senza vergognarsi del Vangelo».
Felice di questa coincidenza di date e della presenza dei giovani, ha invocato per ognuno dei presenti la benedizione perché renda intensi i rapporti e dia anche a lui, personalmente, che inizia con i giovani la visita pastorale al Decanato di Carnago, «la consolazione di vedere una giovane Chiesa che presenta i suoi germogli, le sue promesse di futuro». La serata prosegue con un apericena nel salone dell’oratorio S. Giovanni Bosco: il momento conviviale diventa l’occasione per un piacevole e informale scambio.
Si arriva poi al dialogo con le domande preparate dai giovani.
Il primo tema mette a fuoco la crisi nei numeri di adolescenti e giovani che frequentano le nostre comunità e che porta le stesse a collaborare sempre più come decanato. «Il gruppo giovanile – risponde l’Arcivescovo – è un gruppo di persone che ha raggiunto una qualche convinzione per esserne parte. A noi interessano tutti i giovani e la vostra presenza qui dice che ci interroghiamo su come raggiungere gli altri che non sono venuti e non sentono neanche il desiderio di venire. Si parte da qui non per mimetizzarsi nell’anonimato ma per condividere cosa facciamo e raggiungere altri giovani della nostra età, si viene qui per essere missionari… abbiamo una responsabilità che si possa far qualcosa in tal senso».
Il confronto prosegue con una curiosità: «Quali sono le qualità che lei riscontra nei giovani di oggi? E invece quelle dei giovani dei suoi tempi?». «Io sono del ‘51, l’età dei vostri nonni… non riesco a dare delle categorie; forse una cosa che ricordo io è che sembrava più ovvio aver voglia di cambiare il mondo. Questo mondo vecchio, che fa cose vecchie, lo volevamo cambiare con una certa “aggressività”, erano gli anni del ‘68, della contestazione, dell’occupazione delle Università, delle grandi manifestazioni di Parigi e Milano. A me pare che i giovani di oggi siano persone, ragazzi e ragazze, molto sensibili, che quello che sentono dire o vivono può ferirli molto. Un altro tratto che sento di riconoscere nei ragazzi di oggi è il fatto di essere molto creativi, capaci di creare cose… sono desiderosi di far contenti gli altri ma se avvertono che non han fatto contenti gli altri rimangono male, hanno una spiccata sensibilità. Un altro tratto che mi sembra caratteristico è la capacità di interessarsi: questo fatto di essere sempre in contatto (cos’hai fatto, dove sei stato, guarda questa fotografia ecc.), questa trama di relazioni, spesso virtuali (tramite il mondo dei social), sembra dire: sentiamo di appartenere a un gruppo, un’amicizia.
Forse avevamo più speranza di voi, una capacità di immaginare che noi avremmo reso il mondo migliore di oggi, mentre oggi forse c’è più scetticismo: “Mah, vediamo cosa succede; non siam così convinti che domani sia migliore di oggi”, pensiamo. Non so voi quale desiderio avete di diventare adulti! Oggi, è una mia impressione, sembra esserci una sorta di cautela».
«In riferimento alla crisi di numeri costante che si avverte anche nelle vocazioni, perché un giovane di oggi ha paura del per sempre, di qualcosa che duri per tutta la vita?», gli chiedono. «Penso al brano di Vangelo del giovane ricco, che se ne andò via triste. Io penso che alla base ci sia una mancanza di stima: uno ha paura perché non ha abbastanza stima di sé (ad esempio, sì voglio bene a quella ragazza, ma sarò capace di amarla per sempre?) e forse anche una mancanza di stima dell’altro (mi dico: sì, mi dice ti amo ma mi posso fidare?). E forse anche una mancanza di fiducia in Gesù. Mi fido di te e sono capace di mantenere la parola che sarò capace di esserti fedele ma devo avere anche fiducia in Gesù!
Forse dipende da una scarsa stima complessiva (l’essere esitante può derivare anche da una scarsa conoscenza di sé, o dal conoscere/aver vissuto dei fallimenti, come le storie dei propri genitori separati ecc., ma proviamo ad avere la fierezza di credere noi invece in un amore che sfida la vita) e anche dall’incertezza del contesto, ma è un dato di fatto che due persone che si amano e si stimano sono invincibili, così come un ragazzo che diventa prete ecc.: compiono una scelta perché sanno cosa possono promettere, non è un azzardo».
E ancora: «secondo lei perché adesso c’è questa “crisi spirituale” tra i giovani? Perché non si cerca più Dio?». «Si ricorre al pensiero di Dio quando ci si domanda che senso ha la vita, cosa vuol dire la morte, da dove vengo… queste domande importanti pongono il riferimento a Dio. Se uno dice che quello che gli interessa non è cosa succede alla fine della vita, cosa è successo all’inizio ma solo quanto costa il cellulare, che esame devo fare per avere un lavoro sicuro, come devo fare per avere un corpo attraente… tutte domande concentrate su di sé, si può far a meno di un legame convinto con Dio ed eludere le domande fondamentali. A volte la questione di Dio irrompe quando capita un trauma… Per arrivare alla questione di Dio bisogna arrivare alle questioni serie della vita, nelle cose ordinarie sembra per alcuni che si possa far a meno. Sulla terra non c’è nessun posto senza Dio, uno può anche non percepirlo, ma Dio c’è».
«Ci può suggerire – chiedono i giovani – qualche strumento in più per accompagnare come educatori i nostri ragazzi?». «Voi dovete pregare per questi ragazzi – invita l’Arcivescovo -. La prima cosa concreta è prendere i nomi di questi ragazzetti che vi son affidati e ogni sera dite un’Ave Maria e pregate realmente per loro, per dire che crediamo veramente che il Signore vuole loro bene e Maria può intercedere. Pregando Dio per ciascuno di loro ti ispirerà anche su cosa puoi dire a ciascuno: magari un ragazzo ha bisogno che mi ricordi di lui con un biglietto di auguri o di un momento che sta affrontando. Oltre la preghiera dell’educatore per i ragazzi che vi sono affidati, la seconda cosa è far incontrare i ragazzi con persone di fede, leggere la vita di qualche santo, come la vita di Carlo Acutis, diventato molto popolare, un adolescente delle nostre terre che diceva che l’Eucaristia era la sua vita e ci credeva sul serio! Oppure di San Francesco o altre figure esemplari o ancora far incontrare loro persone che ci credono, come la testimonianza di un giovane che diventa prete. Un altro aspetto che ritengo importante è affidarli al silenzio, oggi cosa molto rara, ma lì Dio li attira a sé, quando noi non siam capaci di condurli. Pregate per loro, fate loro incontrare testimoni e fate fare qualche esperienza di silenzio in cui Dio può aver il tempo di parlare con loro».
E poi, sempre in riferimento ai giovani impegnati nel servizio come educatori, sottolinea che hanno la responsabilità di qualificare la proposta dell’oratorio: «Credo che andare all’oratorio non è andare a usufruire dei servizi che l’oratorio offre ma un senso di appartenenza, l’esito di un’amicizia, di un coinvolgimento. La qualità della vostra gioia, della vostra relazione di amicizia conta per attrarre gli altri; seconda cosa è avere una proposta seria, in cui crediamo (con un percorso di fede, sport, amicizia, arte ecc.), che persuade che vale la pena di venirci.
Siete qui come quella specie di gruppo di fuoco che può accendere il contesto in cui siamo: la vostra gioia sia capace di accendere gioia, la vostra fede sia capace di diffondere la fede, la vostra voglia di fare il bene susciti anche altre voglie di fare il bene!».