Quello tra i giovani del decanato di Bollate e l'Arcivescovo è stato un incontro di fraternità e di riflessione a partire da alcune domande riguardanti il rapporto tra la vita quotidiana e il vissuto di fede: ne riportiamo una sintesi.
di don Matteo
Monticelli
Vicario parrocchiale a Bollate
Senago, 23 gennaio 2020, ore 20.00. Il salone polifunzionale dell’oratorio San Luigi e Santa Caterina, addobbato a festa, è colmo di giovani dai 18 ai 30 anni, provenienti da Arese, Baranzate, Bollate, Cesate, Garbagnate, Novate e Senago: hanno risposto a un invito esplicito dell’Arcivescovo, che tanto desiderava incontrarli nell’ambito della visita pastorale al Decanato di Bollate. Il contesto è informale: un’apericena per aprire le danze, con i tavoli disposti come un grande bar. L’Arcivescovo arriva e saluta, al solito ponendosi in mezzo al suo popolo: con un sorriso e uno scambio di battute passa tra i giovani presenti, viene accolto e accoglie, creando le condizioni per un dialogo fruttuoso.
Si entra poi nel vivo della serata con l’ascolto di una canzone, scelta dai giovani stessi come “carta d’identità” capace di descriverne alcuni dei molteplici volti. L’autore è Fabrizio Moro, il titolo “Ho bisogno di credere”: mi manca l’aria, l’aria sotto i piedi, da una prigione senza sbarre lasciami scappare, quello che cerco io lo so ma non lo so spiegare […] a un passo dalla rabbia che avevamo e ora non c’è, ho bisogno di credere, ho bisogno di te. Parole che leggono il desiderio di orizzonti grandi, eppure spesso inspiegabili e irraggiungibili; parole che esprimono la necessità di una fede, lasciandone allo stesso tempo aperta la destinazione. Così spiega Samuele, 22enne bollatese che conduce la serata, prima di passare la palla a Francesco, di Senago, una vita nell’oratorio tra catechismo, calcio, oratori estivi, servizio come educatore e in ambulanza, che chiede all’Arcivescovo quali debbano essere le linee guida per una vita oratoriana autentica. Mons. Delpini risponde – lo farà per l’intera serata – con linguaggio semplice e al tempo stesso profondo, tipico di chi ha elaborato sintesi acute sotto la guida dello Spirito: innanzitutto la fiducia nell’altro, contro il disfattismo educativo di questi tempi, coniugata alla gratuità che evita forzature e costrizioni; in secondo luogo la lucidità delle intenzioni, ovvero capire il senso del tutto, che è risposta a una vocazione; infine, la coscienza del limite, perché l’oratorio non è per tutti né per sempre.
È poi il turno di Guido, capo scout di Arese, che racconta la sua esperienza di fede a partire da alcune parole chiave come precarietà, fedeltà, cambiamento, essenzialità ed incontro, e domanda all’Arcivescovo come sia possibile trasferire nell’ordinarietà della vita la straordinarietà degli eventi in cui ci si sente più vicini a Dio. “Non con lo scatto, ma col ritmo; non da soli, ma nella Chiesa”, la risposta di mons. Mario, augurando ai giovani di scoprire la certezza dell’esistenza: non già che noi camminiamo con Dio, ma che Dio cammina con noi, in ogni tempo e in ogni luogo.
“Come coniugare l’insegnamento della Chiesa e quello che sentiamo nel cuore per vivere in pienezza il nostro volerci bene?”, domandano Daniele e Chiara, giovani di Garbagnate, dopo aver raccontato l’accendersi e l’evolversi del loro legame affettivo, senza tralasciarne ostacoli e paure. “Non temete, la Chiesa non è contro l’amore, bensì vuole custodirne la verità”, risponde l’Arcivescovo, “e la sua verità non può essere ridotta a emozione o sentimento: è più integralmente la decisione per la dedicazione, la passione per la gioia dell’altro, che emerge nelle scelte di ogni giorno, a immagine di Gesù”.
Chiude la successione delle testimonianze Riccardo, 21 enne consigliere comunale bollatese, che racconta la propria esperienza in ambito politico-amministrativo e chiede come sia possibile per un figlio del nostro tempo individualista trovare le giuste motivazioni per impegnarsi nel bene comune. “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia: da qui parte l’impresa di aggiustare il mondo”, indica l’Arcivescovo, invitando a lavorare insieme, con cultura e competenza, per eliminare disuguaglianze ed egoismi.
Prima del momento di preghiera conclusivo c’è ancora spazio per una domanda attualissima, che mette a tema il senso autentico della festa: come possono questi momenti non degenerare in evasione e sballo?
“Noi cristiani – risponde l’Arcivescovo – dovremmo essere maestri della festa, perché il Signore Gesù è venuto a estendere la festa di Dio Padre ad ogni uomo: i suoi ingredienti non sono alcol e droga, ma accoglienza e interesse per l’altro, dialogo e confronto sulle questioni che ci stanno a cuore, semplicità e verità nelle forme espressive. Proprio come questa sera!”.
Vero, Eccellenza: è stata proprio una festa! Grazie!