Giovedì 13 gennaio la Visita pastorale alla Città di Milano si è aperta con un incontro tra i giovani del Decanato di Affori e l’Arcivescovo, che si è posto in ascolto delle loro domande e si è fraternamente confrontato con loro sui temi della "Christus vivit".
Katia
Castellazzi
Servizio per i Giovani e l'Università
La Visita pastorale alla Città di Milano dell’Arcivescovo, Mons. Mario Delpini, quest’anno è partita dal Decanato di Affori. È stata introdotta dall’incontro con i giovani 18-30enni, avvenuto giovedì 13 gennaio 2022, presso l’oratorio San Luigi della parrocchia Beata Vergine Assunta in Bruzzano. I giovani, dopo essersi brevemente presentati, hanno rivolto alcune domande all’Arcivescovo. Ecco quali sono state in particolare.
Il primo interrogativo è stato posto da Giorgio, educatore di prima superiore, che ha chiesto: «Come si può conciliare l’operato di “pochi artigiani del bene” con una società improntata solo al profitto e dimentica dell’etica? E soprattutto ne vale la pena?». L’Arcivescovo ha risposto ai giovani ricordandogli che il bene nella storia è sempre stato fatto da coloro che cercavano di «tenere pulito il loro metro quadrato: […] Noi cristiani non dobbiamo porci a capo di una rivoluzione sistematica, ma della nostra vocazione, facendo bene il nostro mestiere, qualunque esso sia». Mons. Delpini ha inoltre ribadito loro che per concludere qualsiasi cosa, bisogna iniziare da un piccolo gesto: «è fondamentale credere nell’importanza del GESTO MINIMO, perché dovete avere fiducia che esso contribuirà al bene comune, perché credete in Dio». I giovani, insomma, non devono sobbarcarsi di pesi che non competono loro: «Se siete studenti, il vostro compito è studiare […] Noi cristiani siamo come il buon seminatore che pianta un germe che poi qualcun altro farà crescere». (Mc 4,26-29. «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura»).
A prendere la parola è stato poi Paolo, educatore dei 18-19enni, che ha domandato: «Dato che il mondo in cui viviamo è in crisi etica-morale e non abbiamo più modelli da seguire, come possiamo ricostruire una scala dei valori?». Mons. Delpini ha invitato Paolo e i suoi coetanei ad avere una visione più realistica degli adulti: «Il vostro compito non è più pretendere che essi siano perfetti, […] ma quello di provocare gli adulti, porre loro domande scomode, proporre discorsi esistenziali, perché, anche se imperfetti, essi hanno ancora qualcosa da dire». Concretamente ha suggerito di abbandonare i discorsi banali/di circostanza e di affrontare tutte quelle tematiche che stanno davvero a cuore. Ha inoltre ricordato che spetta a loro, ai giovani, raccogliere l’eredità degli adulti e farla propria.
La terza domanda è stata posta da Arianna, educatrice dei 18-19enni, che ha chiesto: «Come si può far convivere più generazioni? Come dare a tutti spazi di ascolto e di autentica libertà?». La risposta di Mons. Delpini è stata: «Attraverso la Messa domenicale». Essa, infatti, è un «un rito» che raduna tutte le generazioni, «perché richiamate dalla loro fede, persuase della necessità di far entrare Dio nelle loro vite»; ma è anche «ciò che viene prima e ciò che viene dopo, [la messa domenicale è anche] il sagrato, luogo dove ritrovarsi come pluralità». L’Arcivescovo, dunque, ha invitato a non essere fruitori individualisti della Messa. Un altro luogo di incontro generazionale evidenziato da Mons. Delpini è il Consiglio pastorale.
È intervenuta poi Stefania, educatrice in oratorio degli adolescenti, che ha evidenziato come alcuni ragazzi palesano delle difficoltà a credere in Gesù e ha chiesto: «Come trasmettere loro la nostra fede?». L’Arcivescovo ha sottolineato: «La fede non può essere trasmessa ad altri, è un dono di Dio». Ecco perché, se si desidera far sì che qualcuno si avvicini a Cristo, non bisogna insegnargli la dottrina, ma mostrargli «la gioia zampillante che sgorga dal nostro cuore di credenti, gioia che non viene da noi ma da Dio», gioia che non si spegne neanche nei momenti di difficoltà nel ricordo delle parole di Gesù nell’ultima cena (Gv, 15,11 «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»). Un’altra modalità suggerita dal Vescovo, per avvicinare qualcuno alla fede, è pregare per i ragazzi.
Matteo, anche lui educatore degli adolescenti, ha domandato: «Come reinterpretare l’oratorio luogo, la cui funzione di aggregazione, va sempre più scemando?». Mons. Delpini ha invitato i giovani a «trasfigurare questo luogo in una scuola di avventurieri, in un luogo di futuro, in una carboneria del Vangelo. Non bisogna essere in cento, bastano quattro o cinque che si incontrino con la frenesia di chi vuole cambiare il mondo, con la creatività un po’ aggressiva di chi ha la gioia di Dio da condividere». L’Arcivescovo ha inoltre ricordato che l’oratorio è un luogo dove ci si riunisce perché lì c’è un messaggio di gioia che si vuole ricevere e condividere.
Simone, educatore degli adolescenti, ha invece sottolineato l’esistenza di uno scollamento tra i credenti e la Chiesa istituzionale e ha chiesto: «Perché si è venuta a creare questa frattura? Le gerarchie della Chiesa si stanno muovendo in proposito?». Mons. Delpini ha esordito dicendo che è consapevole che la Chiesa venga vista come «antipatica» e «impopolare» e non è stupito, visti le critiche, i sospetti e gli scandali che l’hanno attraversata. In Paesi come l’Italia, la Chiesa è così avversa a molti, ha detto l’Arcivescovo, «perché si è insinuata l’idea che sia solo una custode della morale e della ricchezza»; il non conoscere la realtà delle singole parrocchie e porre così un’enorme distanza tra sé e quello di cui si parla permette il pregiudizio. Ecco perché Mons. Delpini ha invitato i giovani a «dire ai vostri coetanei la verità sulla Chiesa […] a invitarli a entrare, provare, vedere […] a rispondere alle loro critiche dicendo “la Chiesa sono io”». L’Arcivescovo, infatti, ha ricordato ai giovani che Gesù fu crocifisso a furor di popolo e che quindi non bisogna scoraggiarsi o affliggersi di fronte alle critiche, ma perseverare nel bene perché si ha fede in Dio.
L’ultimo ragazzo a porre una domanda al Vescovo è stato Fabio, che ha chiesto: «Come riconoscere Cristo nella quotidianità?». Mons. Delpini ha risposto sottolineando alcuni punti chiave: il primo è «vivere il rapporto con Gesù come con un’amicizia che vi rende migliori perché interpreta il desiderio di gioia che avete dentro». Il secondo punto è riconoscere che Gesù è Signore, ovvero è colui che ci dà la vita, la quale, quindi, non è una conquista, ma un dono da custodire. Il terzo elemento è far parte di un gruppo di cristiani, perché questo allena alla condivisione e al ricordarsi reciprocamente «che Dio è il fondamento della nostra speranza». Quest’ultimo punto è molto attuale: in una società dove, a fronte di mille speculazioni, l’esito ultimo risulta sempre la morte, i cristiani possono opporsi e affermare che la fine è invece la resurrezione: in un mondo in cui «è stata abolita la speranza, voi siete testimoni di speranza».
Dopo qualche minuto di riflessione personale, si è fatto avanti anche un ulteriore giovane, Stefano, per chiedere al Vescovo: «Nella nostra società, siamo noi cristiani ad essere diventati “i diversi”?». Mons. Delpini ha riscontrato che in questa affermazione c’è del fondamento: «Chi ha speranza oggi appare come un ingenuo» eppure non esistono formule magiche per convincere le persone che ci stanno accanto di non essere degli sprovveduti. Quello che noi cristiani possiamo fare è camminare accanto ai nostri coetanei, ponendoci i loro stessi interrogativi, e mostrare loro che le risposte che vengono dal Vangelo sono piene di speranza e di bellezza.
La serata si è conclusa con una preghiera (recita del Salmo 62 e lettura di alcuni stralci della Christus vivit), il canto e la benedizione da parte dell’Arcivescovo, che ha esortato i giovani a essere «testimoni di speranza». La serata si è poi conclusa in semplicità, dopo un breve momento di condivisione.