Nella meditazione dell’ultima sera di Esercizi spirituali d’Avvento (4 dicembre 2024) abbiamo ascoltato il brano della “Professione di fede di Pietro e primo annuncio della Passione”. Le parole dell’Arcivescovo Mario Delpini ai giovani hanno risuonato nell’Abbazia di Viboldone: un vero tesoro medievale sospeso nel tempo, ancora più suggestivo con gli affreschi trecenteschi illuminati nelle luci della sera
Letizia
Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università
“Voi chi dite che io sia?”.
Siamo al capitolo ottavo, circa a metà del Vangelo di Marco.
Una specie di disagio, un imbarazzo, pervade il gruppo dei discepoli, mentre Gesù manifesta un’insofferenza, deve correggerli, ma comprende che non riesce a farsi capire. Circondato dalla folla e dalla confusione, tutte le volte viene definito in modo improprio, mentre cercano di trattenerlo. Gesù si chiede: “In fin dei conti, la gente ha capito qualcosa di me?”. Le risposte che gli vengono riferite esprimono come una specie di desiderio della gente di dare un nome, di etichettare, “classificarlo, secondo le proprie categorie (ma no, Gesù non è uno dei profeti; no, Gesù non è Giovanni Battista; no, non è Elia), senza comprendere l’originalità irripetibile di Gesù”.
E allora chiede ai discepoli: “Ma voi cosa avete capito?”. E Pietro risponde con questa risposta, potremmo dire, “da catechismo”, in un certo senso ineccepibile: “Tu sei il Cristo!”.
Ma Gesù dice: “Non ditelo a nessuno, non avete ancora capito, neanche voi”… E qui addirittura Pietro rimprovera Gesù, come a dirgli, quando Gesù dice la via da percorrere: “Signore, stai sbagliando strada”! E Lui dice: “Tu parli con un pensiero che non è secondo Dio; nemmeno tu Pietro hai capito”.
E dunque viene da domandarsi se noi abbiamo capito qualcosa di Gesù…
Non basta trovare un’etichetta per una definizione, ripetere una formula (per quanto giusta e perfetta) imparata al catechismo, ripetuta nel Credo… non bastano queste parole, se non si è penetrato il mistero di Gesù.
In queste sere i giovani si sono raccolti insieme a pregare; proveranno ancora, nei prossimi giorni, verso il Natale, incoraggiati dall’Arcivescovo, a mettersi davanti al Signore, da soli, un quarto d’ora, a lasciarsi provocare da Lui. Gesù li/ci metterà, allora, in “imbarazzo”. È possibile che se io dico: “Gesù tu sei il Cristo!”, Lui mi dica: “Tu non dirlo a nessuno!”.
Si apre poi la seconda parte del Vangelo di Marco: insegna loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto e Pietro lo vuole dissuadere. E come reagisce Gesù? Nel versetto subito dopo di quello che è stato letto c’è scritto: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, allora forse capirà chi sono”. Dunque non bastano i libri, non basta la tradizione, non bastano le discussioni e le riflessioni, non bastano le emozioni che ho provato quella volta là al campeggio o a quella veglia che mi ha molto toccato, o in quell’incontro. Non basta. “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e allora capirà”…
Dobbiamo andare. Seguire Gesù è la via giusta. Ma dove stiamo andando? Dove stai andando tu? Sono troppo giovane per far scelte, tiro avanti, di anno in anno… provo, se riesco, un’università oppure un’altra. La giovinezza come il tempo di esperimenti: non so ancora se voglio sposarmi, se voglio consacrarmi; non so, provo.
“Questa tendenza a vivere la giovinezza come un parcheggio è quella suggerita dalla società in cui viviamo e molti quindi si lasciano convincere”. La giovinezza, da questa pagina del Vangelo, si capisce però che non è un parcheggio. Chi mi vuole conoscere deve seguirmi; il Vangelo è una proposta affidabile, ma richiede affidamento. Bisogna stare insieme a Gesù, che dice ancora a ognuno di noi: “Seguimi”. “Dove la direzione non è anzitutto la garanzia di un percorso in cui si realizzano i tuoi desideri; non vi è nessuna garanzia, se non seguire Gesù”. “La giovinezza, adesso!, è il tempo adatto per decidersi a seguire Gesù” (che può imporre di cambiare uno stile di vita, mentalità, se forse non necessariamente ancora di prendere una decisione che non è maturata).
In questo momento, qualche volta, l’Arcivescovo segnala l’impressione che si viva un cristianesimo “triste”: essere cristiani come bravi ragazzi e ragazze; ma non si vede che sono contenti di essere cristiani. Un cristianesimo scoraggiato, come se noi fossimo il gruppo dei sopravvissuti. Un cristianesimo timido che non sa dire una parola con la fermezza, la lucidità, la convinzione che hanno coloro che conoscono Gesù. Un cristianesimo volontarista, impegnato a fare tanto bene, ma forse senza gioia, senza essere convinti che quel bene che facciamo non è volontarismo di una pratica ma il sovrabbondare di una gioia, di una grazia.
Il cristianesimo è un fuoco per missionari, gente che si sente mandata, gente che segue Gesù e perciò cammina.
E come non pensare a quel “Pellegrini di speranza” che l’Anno Santo che sta per iniziare ci richiama ad essere…
Leggendo tutto il Vangelo di Marco (che al termine viene donato ad ogni giovane), oltre questo momento un po’ fallimentare del discepolato, potremo allora forse rispondere alla domanda: “Ma tu chi dici che io sia?”. Come quel centurione che avendolo visto morire in quel modo, proprio per come lo ha visto morire, dice: “Gesù, quest’uomo, è davvero il Figlio di Dio!”.
Per vedere la morte di Gesù come l’ingresso nella vita, come il compimento della sua missione, come la sua Resurrezione. Gesù è risorto e con la sua Resurrezione dice quale sia la via della vita.
“Io vorrei incoraggiarvi a non essere cristiani tristi, a non essere cristiani scoraggiati, a non essere cristiani timidi, a non essere cristiani indaffarati a fare tante cose come fosse questione di buona volontà. Vorrei incoraggiarvi a vivere seguendo Gesù, a far tanto bene se ci riuscite, ma anche camminando in silenzio, stando vicini a chi soffre. Non è la quantità di opere che fate a dire chi siete veramente ma la gioia con cui state con Lui, l’impegno di coerenza con quello che Lui vi chiede”.
Nell’ultima sera di Esercizi, dopo la riflessione, i giovani hanno avuto il tempo per accostarsi al sacramento della Riconciliazione, che alcuni hanno colto; altri si prepareranno per viverlo prima del Natale. Un momento, come ha sottolineato l’Arcivescovo, da “vivere come un confronto personale con Gesù, facendo la revisione della propria vita, dei peccati, delle cose di cui chiedere perdono, ma ascoltando anche ciò che Gesù ci chiede di fare e facendo del perdono un principio di vita nuova: una decisione a seguire Gesù”.
Infine l’actio.
“Vorrei che voi prendeste sul serio – ha detto loro, in conclusione – la consegna del Vangelo di Marco che vi viene omaggiato. Vivendo le tre forme di actio che vi ho proposto e che non si esauriscono con gli Esercizi: il quarto d’ora di preghiera (rubato al sonno, ai social, al mattino, alla sera, quando potete…); portare un messaggio di speranza a una persona o più persone (ve lo raccomando, in particolare in questo periodo); la lettura del Vangelo, come aiuto ad entrare nel mistero di Gesù”.