Condividiamo alcuni passaggi della riflessione sul brano del Vangelo di Marco 1,21-39 (Giornata di Cafarnao) proposta da don Pierluigi Banna ai giovani che si sono riuniti presso il Santuario della Madonna Addolorata di Rho in occasione della prima serata (lunedì 2 dicembre 2024) degli Esercizi spirituali di Avvento: un incontro tra Vangelo, letteratura e stralci di esistenze vissute
Sara
Cainarca
Servizio per i Giovani e l'Università
Dopo il Rito della luce, il Salmo recitato insieme e l’ascolto del brano di Marco, la meditazione di don Pierluigi Banna (sacerdote diocesano docente presso il Seminario Arcivescovile di Milano) interpella subito i numerosi giovani presenti, mettendo in dialogo l’esperienza di Gesù e la nostra vita. “Oggi è lunedì, la settimana è iniziata per tutti… Anche Gesù inizia in questa pagina di Vangelo: è il suo primo giorno di vita pubblica”. Sembra una giornata ricca di cose da fare, parole da dire, persone da incontrare e guarire, case in cui condividere la tavola; la notte di riposo e poi pronti via con un’altra giornata che inizia al mattino presto, per pregare; poi si riparte, verso un altro luogo, “perché predichi anche là”.
“Come vanno i lunedì delle nostre settimane? Sono diversi dalla pace che si respira in questa pagina del Vangelo”: è difficile alzarsi, si sente il peso della settimana che incombe, e le giornate poi continuano sempre sullo stesso ritmo – come quello di un lavoro meccanico, in serie (evocato citando le parole di una poesia che descrive il grigiore delle giornate in fabbrica). Eppure a volte capita che questa ripetizione ansiosa delle nostre giornate venga squarciata da una domanda: nella stanchezza emerge la sfumatura dello stupore… perché?? Perché sto facendo quello che sto facendo? Quando accade, questa domanda è una grazia: è l’occasione di prendere la vita in mano! Tuttavia ci mette paura: rimaniamo invasi e schiacciati dall’ansia per le cose da fare, che sfuggono al nostro controllo, al controllo che vorremmo avere su tutto.
La Generazione Z è stata nominata “generazione ansiosa”: un appellativo in connessione con l’eredità che questi giovani hanno ricevuto, cioè l’insegnamento dell’attitudine alla perfezione. Dobbiamo avere sotto controllo tutto, non possiamo sbagliare, nulla ci può ferire. Ma è un insegnamento che non nutre, non disseta. Dino Buzzati, in un suo romanzo del 1963, descrive una sensazione ben precisa: “una specie di arsura interna in corrispondenza della bocca dello stomaco, su su verso lo sterno, una tensione immobile e dolorosa di tutto l’essere, come quando da un momento all’altro può accadere una cosa spaventosa e si resta inarcati allo spasimo, l’angoscia, l’ansia”. Non è solo una sensazione raccontata con gusto artistico: ha un sapore profondamente umano, e torna anche nelle parole tra gli appunti di Marco Gallo, il giovane diciassettenne morto in un incidente stradale il 5 novembre 2011, la cui richiesta di beatificazione è stata appena avviata. Come pagine di diario, un file sul suo pc raccoglie i suoi pensieri più intimi: descrive l’ansia da routine, con il mattino carico di energia poi travolto dagli impegni della giornata, per poi arrivare alla fine confusi, con la sensazione di aver fallito in qualcosa. Come non esser più un sassolino trasportato dalla corrente? Quale alternativa alla chiusura falsamente protettiva di una routine piena, ma senza un senso, se non quello schiacciante dell’ansia e del fallimento in agguato?
Il racconto di un amico cappuccino, originario della Tanzania, mostra in modo icastico un’altra possibilità a questo perenne sentirsi attanagliati, sbagliati, stravolti. Tra i riti di passaggio all’età adulta, questo mansueto frate, a 19 anni, dovette uccidere un leone: le sensazioni sono ancora chiare… la paura è enorme, ma quando il leone è ormai davanti a te sai quello che devi fare e lo compi! “La giornata è questa, guardala in faccia! La giornata è fatta per te, e non tu per la giornata: affrontala!”.
Gesù fa questo: non spiega la dottrina, ma si accosta con le sue parole che danno vita. In ogni cosa va dritto al punto: parla con autorità, comanda agli spiriti, guarisce. Attraversa ogni circostanza, anche l’imprevisto – come la febbre della suocera di Pietro – senza affanno nè ansia. Questo perché in ogni situazione c’è con tutto se stesso: sa cosa lo muove e cosa vuole. Troviamo qui l’esempio e la testimonianza della possibilità di vivere intensamente il reale: non si tratta nemmeno di vivere tante cose con foga, ma avendo ben chiaro cosa desideriamo – sentirci amati. “Gesù viveva tutti i momenti della sua giornata dentro un Amore ed è l’amore che fa fuggire l’ansia: quando uno si scopre amato, non ha più la preoccupazione di fare brutta figura”. Ritorna il racconto di Dino Buzzati – di cui viene svelato il titolo: “Un amore” – a conferma che “quell’ansia si scioglie quando trovi uno che ti ama”. A partire da qui, ogni cosa sembra portare traccia di questo amore e così “tutto ciò che ci affascina del mondo, senza che noi lo sappiamo, contiene un presentimento d’amore”. Gesù fa tutto con amore: allora viene voglia di portare tutta la tua vita lì, dentro a quell’amore. Tutta la vita, senza vergogna. I discepoli fanno così: lo invitano a entrare a casa e pranzare con loro, lo invitano a restare. “Così si prosegue la giornata: stando con Lui”.
Questo stare davanti al Signore, portando tutta la nostra vita, la nostra fatica del lunedì, lo viviamo nell’Adorazione Eucaristica: un’esperienza di casa, un’esperienza di tocco, un’esperienza di amore.
La meditazione si avvia alla conclusione ponendo l’attenzione verso il momento che si vivrà in ciascuna delle tre serate. “Ecco quello che faremo stasera: staremo con Lui, davanti alla Presenza Reale. Lui è presente e viene a casa tua stasera: può entrare nella tua vita ora”. Come recitato all’inizio, nel Salmo 84 (83), don Pierluigi ricorda che “l’uomo non ha ancora trovato la sua casa: nemmeno quando cresce e lascia quella dei genitori non la trova più, perché la vera casa si trova solo nella presenza del Signore, davanti a Lui! Ecco che allora stasera si fa un’esperienza di casa”. Cosa fa Gesù quando entra in casa? Condivide il pasto, spezza il pane, guarisce. Nell’incontro intimo, Dio viene con il suo tocco (come con la suocera di Pietro): incontro di contatto, perché senza contatto non c’è affetto che perduri, ma parole al vento. Il Dio di Gesù Cristo è quel Dio che ha scelto la via dell’Incarnazione: si è fatto carne per lasciarsi mangiare e divenire carne nella nostra carne. Ecco che allora si fa un’esperienza del contatto di Dio: arriva nel punto di te che nessuno ancora é riuscito a toccare.
“L’incontro intimo con Cristo si fa durante la Comunione, ma l’Adorazione é nostalgia della Comunione: è rendersi conto che questa Presenza, ogni domenica, la puoi mangiare e fare entrare nella tua vita, nel tuo corpo”. Nella Comunione, Dio giunge a “toccare del cuore le corde più profonde e provocare una sensazione indefinita di santa tristezza” (citando Dostoevskij), che una volta esperita non si può più scambiare con gioie a buon mercato che solo soddisfano per poco e superficialmente. Alla fine del brano meditato, Gesù lascia i discepoli con questa nostalgia nel cuore: se ne va, allora loro gli dicono di tornare a casa; ma non si lascia incastrare nelle logiche umane o nei buoni propositi altrui, perché ha ancora chiaro nel cuore ciò che lo anima. “Andiamocene altrove (…), perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”. Si lascia incontrare, ci fa sperimentare l’essere figli amati, ci lascia la nostalgia di quell’incontro e di quel tocco: una nostalgia che ci porta a seguirlo ancora, a ricercarlo nei passi che compie, noi dietro Lui, noi con Lui, Lui con noi.
In conclusione, la proposta per l’Actio: per ricordarci della Sua presenza nella trafila della giornata, l’invito a puntare una sveglia con scritto “Silenzio”; un silenzio che è luogo dove ogni volta continuare ad incontrarlo, per lasciarci sfiorare dal suo tocco e, sentendoci amati, affidargli l’affanno che rischia di sopraggiungere ancora, e chiedere la grazia di vivere pienamente presenti.