Riportiamo un testo scritto da don Sergio Gianelli, come direttore della Fom, nel 1988 su L'Eco degli oratori, a conclusione del grande Convegno "Progetto oratorio: storia, realtà profezia" e nell'anno pastorale dedicato all'Educare (Dio educa il suo popolo), voluto dal cardinale Carlo Maria Martini.

Don Sergio Gianelli
da L'Eco degli oratori n. 13 del 1988

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Penso non ci sia stata parrocchia che, durante questo anno dedicato all’Educare, non si sia fatta questa domanda: come deve essere il nostro oratorio, se vogliamo che traduca fedelmente i principi dell’educare cristiano?

Questa contemplazione/riflessione/verifica (cfr. Dio educa il suo popolo, pag. 17) ci aveva chiesto l’Arcivescovo.

Al termine di questa prima tappa, ci viene spontaneo domandarci: quale immagine di oratorio sorgerebbe, se fossimo capaci di tradurre il metodo e lo stile educativo di Dio nelle nostre proposte ai ragazzi e ai giovani?

È tema per un convegno; mi limito quindi a comunicare alcune riflessioni, raccolte in FOM e negli Incontri con i responsabili: innumerevoli incontri, di ogni tipo, a cui siamo stati invitati.

– Innanzitutto un oratorio, dove facilmente ci si accorge che le persone (adulti e giovani) ci sono “per educarsi e per educare a farsi prossimo” (cfr. pag. 10).

Credo che anche questo programma pastorale si debba muovere in quella specie di “scalata” nella quale sono stati immaginati i cinque precedenti piani pastorali: due in fase ascensionale (la dimensione contemplativa e la Parola) verso il vertice (l’Eucaristia) e due in fase discensionale (la missione e la carità).

L’oratorio è il luogo dove una comunità-parrocchia “esagera” nell’amare la vita dei ragazzi e dei giovani del territorio. L’oratorio è il luogo dove una parrocchia “non ha limiti” nel servire la loro vita, senza tante storie: sono giovani e vanno serviti e amati (con ogni estensione che questi termini contengono). A queste condizioni, i ragazzi e i giovani possono dare una risposta univoca a certe domande che li interessano: perché vai all’oratorio? Perché lì c’è gente che mi vuole bene! Che cosa impari all’oratorio? Ad amare e a servire la vita di tutti!

– Il programma pastorale ci chiede oratori capaci di educare con un progetto, articolato in itinerari educativi destinati alle diverse fasce di età, di maturità, di condizione di vita… Più precisamente: oratori capaci di educare con progetti e itinerari composti a immagine e somiglianza di quel Progetto, al cui servizio il progetto stesso dell’oratorio si pone: il Progetto di Dio Padre ed educatore. Questo è servizio che non avviene automaticamente, ma chiede uomini e donne (cioè educatori) capaci  di  contemplazione,  di  comunicazione  nella  fede,  di correzione fraterna, di discernimento... Sono attitudini dello spirito che non si possono riservare ai tempi della preghiera, ma debbono invadere ogni tempo della formulazione, della progettazione del servizio educativo dell’oratorio: il Consiglio d’Oratorio, l’incontro con le diverse figure educative  (catechisti, animatori del gioco e dello sport, ecc.), le feste, il campeggio, l’Oratorio feriale…

Per questa ragione l’oratorio deve esistere sempre più chiaramente come “luogo della comunità (parrocchia, decanato, zona, diocesi), evitando di distinguere troppo spesso, per non correre il rischio di dividere troppo. L’immagine di oratorio che si deduce da questo programma pastorale è un oratorio che traduce sul territorio quei progetti che hanno il respiro della Chiesa. Non si tratta di appiattire i carismi o i talenti delle persone, ma di fare la fatica di intonare questi carismi/talenti con quella esigenza di comunione/unità, che, oltre tutto, rende più fecondi di frutti e più duraturi, stabili, carichi di continuità i carismi di ciascuno. In FOM è sempre più facile registrare il cammino sorprendente di tanti oratori, che hanno ritrovato vita e vivacità proprio nel momento in cui sono usciti dall’angustia del loro problemi, e si sono associati al cammino di tanti altri oratori, nel cammino dell’intera chiesa diocesana.

– Con questo programma pastorale, l’Arcivescovo ha consegnato alla diocesi un “imperativo pastorale”: quello dell’educare: far assumere a tutta la Chiesa diocesana un atteggiamento di servizio nei confronti della vita dei ragazzi e dei giovani, che diventa effettiva capacità di educare. Questo vuol dire che una parrocchia non può limitarsi a pensare all’oratorio come al luogo dove si fa qualcosa o tante cose per i ragazzi… Vuol dire che una parrocchia non può immaginare nulla, nel campo pastorale, senza chiedersi: questa scelta, questo atto, questa celebrazione, a che cosa educa i nostri ragazzi e i nostri giovani? Non si tratta di impostare la parrocchia solo in funzione dei ragazzi e dei giovani; si tratta di non dimenticare mai il loro bisogno/diritto di educazione, di esemplarità, di testimonianza, di servizio: oggi tante iniziative, esplicitamente destinate ai ragazzi e ai giovani, non portano o non esprimono chiaramente la loro intenzione educativa.

– Questo programma pastorale ha persuaso tanti educatori a interrogarsi sullo stile dell’educare in Oratorio. Non ci si domanda più semplicemente: che cosa dobbiamo fare per i ragazzi e i giovani? Oggi ci si domanda: come dobbiamo fare catechismo, gioco, sport, aggregazione, ecc… in oratorio? Ci siamo accorti cioè che, se l’oratorio vuole raggiungere la sua finalità educativa (destinata a tutti, anche a coloro che se ne vanno), deve scegliere un metodo, uno stile educativo che si adatta alla identità e alla condizione di coloro che arrivano alla porta e chiedono di entrare.

Possiamo dire che questo è un risultato che ci ha aiutato a raggiungere anche il centenario di Don Bosco: rileggendo la storia del suo oratorio e del suo modo di fare oratorio, ci siamo sentiti sollecitati a far rinascere uno stile e un metodo educativo, che per alcuni versanti in questi ultimi anni restavano inesplorati o dimenticati: il clima dell’oratorio, un certo tipo di presenza degli educatori, una capacità di accoglienza… Parlando ai catechisti del decanato di Bresso (11.3.88) l’Arcivescovo disse loro: «Che cosa fare con e per i ragazzi che scelgono l’oratorio come luogo di ritrovo e di svago? Penso che Don Bosco ha iniziato così: offrendo svago, offrendo gioco ed entrando con amore attraverso queste iniziative. Come lui stesso diceva: ‘Dobbiamo amare le cose che amano i giovani, perché poi amino le cose che noi amiamo’. Credo che nella condizione attuale non si debba pretendere che tutti i ragazzi vengano all’oratorio assetati di catechesi. La dinamica dell’oratorio è proprio questa: far vedere a loro che li amiamo talmente da stare con loro, in modo tale che anch’essi vogliano stare con noi: questa è la possibilità immensa che ci offre l’oratorio».

– Un programma pastorale come questo non può non essere raccolto con privilegiata attenzione dagli educatori. Nei loro confronti l’Arcivescovo pone domande e indica prospettive precise.  Succederà sempre (e anche questa è una ricchezza dell’oratorio) che un prete o una suora dicano a un adolescente un po’ più in gamba degli altri «dammi una mano a fare catechismo o a far giocare i ragazzi alla domenica pomeriggio»… Ma oggi il discernimento e la formazione degli educatori oratoriani vanno sostenuti dalla comunità con criteri più ‘professionali’. La prossima lettera pastorale dell’Arcivescovo ci offrirà criteri e metodo per questa formazione; ma può darsi che tante parrocchie, piccole, non molto attrezzate si sentano ancora in difficoltà nei confronti di questo compito. La FOM e I’AC offrono regolarmente durante l’anno Corsi di formazione per gli educatori; e sono occasioni che possono rispondere al bisogno di tante parrocchie. Gli educatori oratoriani debbono poter reggere il confronto con qualsiasi altro educatore. E io credo che proprio gli educatori sono coloro che nei prossimi anni diverranno i referenti più autorevoli per gli Enti locali, in una prospettiva di collaborazione.

L’oratorio è il luogo della missione educativa della parrocchia. Questo programma pastorale offre all’oratorio la capacità di diventare il luogo dove ogni realtà di proposta educativa cristiana per i ragazzi e per i giovani trova spazio reale di comunione, di corresponsabilità, di collaborazione. Proprio perché il termine di confronto (Dio Educatore e il suo progetto) non può non essere condiviso da tutti coloro che hanno a cuore la formazione e l’educazione cristiana dei giovani. E oggi mi pare arrivato il tempo propizio perché avvenga questa unità. Non si tratta, anche qui, di livellare carismi e talenti, ma si tratta di credere che anche questa volta la pastorale giovanile può diventare il luogo più fecondo di desiderate collaborazioni. Le premesse e le condizioni che il programma pastorale ha posto possono essere assunte da tutti, e ciascuno può sentirsi responsabile di quella unità che ancora oggi rimane segno inconfondibile della sequela. E in questa prospettiva mi pare si possa e si debba lavorare, da subito.

Quale oratorio? Immagino che in questi mesi d’estate gli oratori abbiano previsto momenti di riflessione e di verifica del loro servizio educativo, alla luce del programma pastorale. Ciascuno perciò potrebbe portare una parola in più per costruire l’identità dell’oratorio, come si può dedurre dalla lettera dell’Arcivescovo.

I segni che vediamo ci confortano. Il cammino ci dà speranza.

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