Continuano le visite dell’Arcivescovo Mario Delpini ai gruppi di adolescenti della nostra diocesi. Sono serate da accogliere come un dono: i gruppi di adolescenti si preparano con profondità a questi incontri, attraverso la lettera che l’Arcivescovo stesso ha loro dedicato, «Parla con Dio. Chiamare il Padre nella preghiera» (edita dal Centro ambrosiano). Così è stato nella serata di lunedì 6 febbraio, all’oratorio San Luigi di Corsico, momento atteso per condividere con l'Arcivescovo le domande elaborate insieme riflettendo su alcune tematiche, in alcuni incontri guidati dagli educatori.
Gli adolescenti hanno domande che si portano nel cuore e che a volte non si ha la forza neppure di esprimere a voce alta. Il dialogo, sincero, e la preghiera, intensa, hanno dato qualità ad un incontro che resterà decisivo nel cuore degli ado di Corsico che hanno potuto incontrare l’Arcivescovo Mario Delpini e confrontarsi con lui, con coraggio e libertà.
C’è stata così la possibilità di fare un passo in più, confrontandosi su un tema particolare che è la preghiera, a partire dalla lettura della lettera agli adolescenti dell’Arcivescovo “Parla con Dio”. Questo tema si rivela interessante per tutti i gruppi di ado: si può accompagnarli, a partire dalle considerazioni emerse, a condividere alcune domande e individuare poi una persona, una testimonianza, o un’esperienza che possa aiutarli ad approfondire e suggerire loro una risposta.
Il percorso per prepararsi all’incontro con l’Arcivescovo, ammettono gli educatori e i responsabili dell’oratorio San Luigi di Corsico, è stato bello ma anche impegnativo: ha fatto emergere la difficoltà che hanno gli adolescenti a parlare con Dio, la loro fatica a vivere un cammino di fede, tra momenti di preghiera e partecipazione alla messa. La fatica a sentire Dio come una Parola che potrebbe essere importante per loro.
Se da un lato si coglie con gioia il loro entusiasmo e attaccamento all’oratorio e agli educatori che li accompagnano, frequentando volentieri le attività e le esperienze proposte, dall’altro spesso si percepisce la distanza da quelle parole che li invitano a riconoscere in quello che vivono Qualcosa/Qualcuno di più grande. Quella “fatica di credere” è rilevata anche dall’Arcivescovo: «Fino a un certo punto si “segue l’onda”, quanto la famiglia vive… ma alla vostra età ci si chiede: perché devo andarci? È una domanda a cui devi rispondere tu, come ciascuno di voi. Credere è una scelta personale. Capisco che la fede è buona per me. E si può porre anche un’altra domanda: se io non credo che senso ha la mia vita? Che cosa ne è di me? Devi rispondere tu… Nessuno può dire perché devi credere».
L’Arcivescovo li ha incontrati così, nel loro essere semplicemente se stessi, tra solitudini, paure, incertezze, confusione, e insieme nel desiderio di esprimersi, essere riconosciuti, sentirsi voluti bene.
La cena informale ha anticipato il dialogo, con le domande che sono state poste dagli adolescenti degli oratori di Corsico, Comunità pastorale Cenacolo delle Genti Corsico-Buccinasco. È il momento in cui dar voce a quella “fame” vera, più intima e a volte inascoltata.
Fernando pone la prima domanda, sul senso e il rapporto con la Chiesa: «perché credere, perché dare una certa importanza alla Chiesa? Secondo lei perché punti di riferimento come sacerdoti, vescovi o lo stesso papa dovrebbero essere così importanti per noi?».
«La Chiesa è come una comunità che ti accoglie, come una casa, se vuoi abitarci… nessuno è obbligato a sentirsi parte della Chiesa. Ma non è tanto la questione di dare importanza, è una questione di riconoscenza. Chi mi dedica del tempo, gratis, semplicemente perché vuole che io sia contento? Chi mi dà parole di speranza e mi dice che la vita è buona, bella, merita di essere vissuta? Per me, alla vostra età, la risposta era l’oratorio, la Chiesa, il Vangelo, la vita nella mia comunità».
In alcune situazioni, – dice Marta – «ci siamo sentiti scivolare da quella roccia, mancare l’appiglio. Abbiamo pensato che Dio non si preoccupasse di noi, delle nostre preghiere. Ecco la nostra domanda è proprio questa: perché non è cambiato nulla, perché il nostro dolore è rimasto e perché ci sembra che Dio non abbia fatto nulla per alleviarlo? Siamo stati veramente ignorati?».
«Nessuno può dire: Dio mi ignora – assicura l’Arcivescovo –. La rivelazione di Gesù dice che sei importante, unico per Dio. Anche se non posso costringerlo a fare quello che io mi immagino, perché Dio non è frutto della mia immaginazione. Il modo che Dio ha di esaudire la preghiera non è di risolverci i problemi, è quello di donarci lo Spirito perché noi possiamo vivere quella situazione come l’ha vissuta Gesù, come figli di Dio. Se prego ricevo lo Spirito Santo e vivo la situazione che ho, la gioia di essere giovane, di andar bene a scuola, di avere una bella famiglia e un futuro promettente, ma anche l’angoscia quando dico: “non ce la faccio a scuola”, “la mia famiglia è un disastro”, “sono malato”, “il mio futuro non so cos’è”, “sono solo”… Se io prego non è che la mia situazione cambia, ma io ricevo il dono dello Spirito che mi aiuta a vivere questa situazione, bella o brutta, di salute o malattia, di amicizie gratificanti o solitudine, con lo Spirito di Gesù: ogni situazione è un’occasione per amare. Quello che mi salva è l’amore che riesco a mettere in quello che vivo».
Il “concetto” di Dio può apparire, per un ado, distante, astratto, difficile da concepire. Soprattutto in un contesto, con tante altre religioni e differenti pensieri, che disorienta un po’. «Che senso ha la mia vita? Dove va a finire? Molti non si pongono questa domanda… – risponde l’Arcivescovo – Ma se ti interessa, io dico: che sia risorto c’è solo Gesù, che la morte porti alla vita lo imparo solo da Gesù. C’è chi pensa che la vita non ha senso: cerca di vivere al meglio che poi tutti siamo destinati al nulla. Gesù dice: chi crede in me ha la vita eterna. Gesù dà senso alla mia vita!».
E quando il male sembra prendere il sopravvento, quando sembra impossibile respingere il “male” che si sente dentro? Silvia ammette: «Mi ripeto costantemente, con finta fierezza, che è difficile scalfire i miei sentimenti, ribaltare le mie sicurezze, o infastidirmi in alcun modo, quando so che questa è la prima debole barriera che cerco per fuggire da ciò che mi circonda…».
L’Arcivescovo invita alla necessità, soprattutto nell’età dell’adolescenza, di «incontrare uno sguardo che vede il bene che c’è in te. L’esperienza di guardarsi allo specchio e non piacersi, porta a deprimersi e a vedere solo i propri difetti. Chi vuoi che si interessi di me e mi trovi interessante e mi voglia bene? Questo modo di conoscersi è un modo sbagliato, non dice la verità di noi stessi. Bisognerebbe rendersi conto dello sguardo di Gesù che mi vuol bene così come sono. Dobbiamo sentirci voluti bene per quello che siamo. Questo ci dà la grazia, la forza di diventare diversi. Di scoprire che le capacità che abbiamo ci aiutano a correggere anche il male che c’è in noi e far del bene agli altri. Questa è la strada da percorrere…».
Al termine, anche un educatore chiede: «Come si fa a parlare di Dio ai ragazzi che ci sono affidati?».
«Più che parlare noi dovremmo lasciare che Gesù parli loro: proporre occasioni di silenzio o visitare luoghi santi e testimonianze di persone che hanno creduto, avvicinarli al servizio ai poveri, per comprendere che si è capaci di dare gioia. È commovente questa “bella tristezza”, il desiderio di condividere il cammino di fede che si sta vivendo. Ma noi siamo il popolo della fiducia. Abbiamo la persuasione che Gesù attira tutti a sé. So che Gesù parla nel vostro cuore… Noi dobbiamo fare in modo che lo percepiscano».
Con queste parole la serata si è conclusa nella cappellina dell’oratorio. I canti hanno accompagnato la preghiera personale recitata dall’Arcivescovo. Poi il tempo del silenzio, un foglietto bianco e una biro, per scrivere la propria preghiera personale. Ogni ado sembra chiedersi: «Che cosa devo scrivere?». Quello che scriverai rimarrà nel cuore di Dio e nelle mani del Vescovo.
“Non mi sono mai sentito come mi sento ora, né ho pregato che fossi Tu a condurmi: ma ora sii Tu a condurmi!”