Condividiamo i passaggi più importanti della meditazione che Chicca Sacchetti, ausiliaria diocesana, ha tenuto ai giovani in occasione della prima serata (lunedì 14 novembre 2022) degli Esercizi spirituali di Avvento svoltasi nella Chiesa di San Gaetano di Abbiategrasso (Zona VI)
Letizia
Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università
Tutti abbiamo bisogno di pregare, eppure sappiamo anche quanto non sia sempre facile per un giovane porsi in intimo dialogo e docilità allo Spirito, perché la grazia di Dio operi nella propria vita.
È significativo allora iniziare l’Avvento ambrosiano così, raccogliendosi in preghiera insieme con altri giovani, sentendosi profondamente uniti e in comunione, seppur in chiese, “case di preghiera”, diverse, in ciascuna delle sette Zone pastorali, in queste tre serate, 14-15-16 novembre, legate l’una alle altre, che ci preparano ad accogliere e a vivere con maggior intensità la venuta del Signore.
Le figure di Agar, Anna e Maria sono le donne in preghiera che ci insegnano a pregare, in questi Esercizi spirituali di Avvento dal titolo «Come terra deserta, arida, senz’acqua (Salmo 62)»: la possibilità di mettersi in ascolto del proprio cuore, soffermandosi su quella Parola che vibra dentro di sé e ha qualcosa da dire alla propria vita, rimanendo davanti al Signore, donandogli il tempo (anche la fatica, il silenzio e l’ascolto) di queste sere e una preghiera semplice, che può apparire “povera”, con la fiducia che porterà frutto.
Condividiamo i passaggi più importanti della meditazione di Chicca Sacchetti, ausiliaria diocesana al servizio al carcere di San Vittore di Milano, diversi tratti proprio dal confronto con le persone che incontra in questa particolare realtà: predicazione tenuta in occasione della prima serata di lunedì 14 novembre, per gli Esercizi spirituali ad Abbiategrasso, nella Chiesa di San Gaetano (Zona VI).
Insieme con lei ripercorriamo la vicenda di Agar. Immaginiamo Sara – anziana e impossibilitata a generare – che, dopo aver partorito Isacco, il figlio della promessa, inizia a vedere Ismaele, figlio di Agar, come un pericolo, una minaccia per l’eredità del proprio figlio Isacco… chiedere ad Abramo di cacciare via la donna e il figlio. E Dio che chiede di dare ascolto alle parole di Sara, ma ribadendo che Ismaele diventerà una grande nazione. «Il primo elemento che possiamo sottolineare è questo: la relazione con Dio si intreccia con le relazioni umane che non sempre sono un dispiegarsi nobile, ma che spesso sono fatte di sotterfugi, sono segnate dalle nostre paure e dagli egoismi eppure Dio rimane in esse. E questa è la storia dell’amore di Dio per gli uomini e le donne, così come sono».
Nel brano della Genesi che guida la prima serata (21,14-21) ci sono i gesti di paternità di Abramo, che prende del pane e un po’ di acqua, per caricarli sulle spalle di Agar. Abramo consegnò il fanciullo… rinuncia così al figlio. Agar si allontana, inizia un cammino nel deserto, luogo di solitudine, di desolazione, pericolo, morte… La situazione diventa drammatica. Tutta l’acqua dell’otre era venuta meno.
«Immaginiamo questa madre e questo figlio, stremati dalla stanchezza e arsi dal caldo, in una solitudine che si fa sempre più profonda. Sembra la fine: Agar depone il figlio sotto un cespuglio, l’ultimo baluardo di riparo, per compiere l’ultimo gesto di tenerezza e maternità.
Ci viene alla mente, anni dopo, un’altra donna – anche lei in una situazione di pericolo – che avvolgerà il bambino in fasce e lo deporrà in una mangiatoia…».
Queste parole arrivano dal carcere, in questa distanza dal resto del mondo e degli affetti che all’inizio è spazio di disperazione, di tempo e spazio sospesi. “A volte la vita ti spoglia di tutto e non avendo più nulla si apre lo spazio per una riflessione e la distanza, il tempo e lo spazio sospesi divengono la possibilità di aprire gli occhi e vedere ciò che è importante, di donare vita, di dare il giusto valore, di recuperare la verità di alcune relazioni. Nella distanza ti trovi faccia a faccia con te stesso”.
Agar sembra non poter esser ascoltata e non ascoltare e sfoga tutta la sua amarezza. Questa preghiera di Agar ci può apparire una “non preghiera”, non ci sono parole, è un pianto, un grido. È una preghiera povera ma vera.
Come in carcere, quando la preghiera è un grido di dolore, un senso di impotenza, un alzare la voce e piangere, una richiesta di aiuto, ma anche un credere che qualcuno può raccogliere il tuo dolore.
«La solitudine di Agar scopriamo che non è ignorata da Dio, è ascoltata è abitata dal Dio della vita. È ancora nel deserto, senz’acqua, deve alzarsi a prendere per mano il figlio fidandosi oltre ogni apparenza e dando credito alla promessa di Dio: Agar è una donna che osa. Agar è ascoltata da Dio e ascolta Dio, e questo Dio le apre gli occhi, le dona uno sguardo nuovo su ciò che la circonda e che c’era anche prima ma che non riusciva a vedere per il suo dolore e il dolore del figlio. Agar vede un pozzo nel deserto, un pozzo sempre presente: vede la vita dove prima c’era la morte, un nuovo inizio dove tutto sembrava finito e ritorna ad essere capace di far crescere il proprio futuro».
Dalla preghiera di Agar, la preghiera di cui è capace, scopriamo anche per noi che solo in questa reciprocità di ascolto possiamo ricevere uno sguardo nuovo, una visione nuova sulla realtà, sulla nostra vita, proprio lì dove ci troviamo e così come siamo.
Dio non abbandona, abita il deserto e diventa capace di colmare quel tiro d’arco…
Quante volte nella nostra vita abbiamo momenti di slancio che ci fanno sentire vicini a Dio e sentire Dio vicino e momenti in cui ci sentiamo invece smarriti di nuovo. Dio non smette di ascoltare le nostre preghiere e le nostre “non preghiere”. Non smette di desiderare per noi la possibilità di aprirci gli occhi, di donarci uno sguardo nuovo.
Come “actio”, prima di concludere con il canto e la benedizione di padre Michele Elli, Vicario episcopale per la Zona VI, Chicca Sacchetti ha proposto ai giovani un piccolo esercizio per aiutare ad avere uno sguardo nuovo, che possiamo vivere anche noi, in questa giornata ma anche nei prossimi giorni. Quello di fermarsi, trovando un tempo nella giornata per rivedere quanto vissuto e riconoscere come abbiamo incontrato Dio, quali sono stati i segni della sua presenza.
Per Agar è stato riconoscere il pozzo che c’era già, per noi può essere riconoscere che alcune situazioni, alcuni incontri, parole ed emozioni sono il segno della presenza di Dio nella nostra vita, per imparare a guardare ogni giorno con i suoi occhi e il suo cuore.