In occasione della visita pastorale alla Città di Milano, sua Ecc.za Mons. Mario Delpini ha incontrato i giovani del Decanato Centro storico a cui ha ricordato che solo a partire dall’ascolto dei desideri del proprio cuore, da maturare nell’amicizia sincera e nella stima reciproca, accompagnati da punti di riferimento saldi, ognuno potrà realmente scoprire se stesso e costruire insieme agli altri una “Chiesa di pietre vive”

Sara Cainarca
Servizio per i Giovani e l'Università

Arcivescovo - Visita pastorale Centro Storico (2) - Sito

Nella serata di giovedì 10 novembre 2022, il secondo incontro, dopo la sosta estiva, tra l’Arcivescovo Mario Delpini e i giovani, all’interno della proposta “Una serata con il Vescovo Mario” (tappa delle visite pastorali) per dialogare e ascoltarsi: per “fare Chiesa” e percorrere un’altra sfumatura del grande quadro della “sinodalità” – parola che vibra all’interno del Sinodo indetto da Papa Francesco – per imparare sempre più a camminare insieme, cominciando dall’ascolto.

Questa volta l’incontro è avvenuto con i giovani delle cinque Comunità Pastorali del Decanato Centro Storico (Santi Magi, Santi Apostoli, Santi Profeti, San Paolo VI e Santi Martiri), dove più che in altre zone di Milano la vita quotidiana è frenetica e offre una varia quantità di stimoli, soprattutto per chi è nell’età di grandi domande, alla ricerca di un posto nel mondo che corrisponda ai suoi desideri più profondi.

Nel rispondere all’iniziale domanda circa la vocazione, tematica tanto grande quanto intima, il primo invito dell’Arcivescovo è stato per l’appunto quello di mettersi in ascolto dei desideri del proprio cuore: cosa ti fa stare bene davvero? Per quali modelli, per quali esempi tra i tanti che ti circondano senti un’attrattiva per cui esclamare: “Quella roba lì mi piacerebbe!”? Che cosa ti accende? Che cosa ti smuove?

Questo è il primo passo: una genuina scoperta di sé e dei propri desideri. È una scoperta fatta di tanti piccoli passi all’interno di un cammino. Ogni cammino dedicato ai giovani, nell’orizzonte cristiano, è – deve essere – un cammino di vocazione, che accompagni ciascun ragazzo e ragazza a compiere esperienze, incontri, costruire relazioni, porsi domande, verificare intuizioni; tutto ciò maturando scelte per diventare sempre più simili a Gesù: questo fa la differenza! Ma in che senso? Se in ogni riflessione, in ogni azione, in ogni scelta c’è la relazione di amicizia con Gesù, allora sarà davvero un cammino verso la piena scoperta di sé tra limiti, fragilità, doni, talenti… e ogni talento, nelle Sue mani, potrà fruttare il centuplo, anche quando ci sentiamo fragili nello scoprire le crepe più nascoste di noi “vasi di creta” con dentro però un grande tesoro, tutto da scoprire, una pietra preziosa alla volta. La Vocazione è un’Avventura e fondamentale è la rotta verso cui si mira: per vivere questa Avventura, è necessaria una conversione – altra parola che forse fa pensare a coloro che non credono o non aderiscono alla fede cristiana, ma che invece chiama all’appello innanzitutto noi, che proviamo ad essere cristiani, nella nostra più semplice quotidianità. “Con-vertire” cioè voltare lo sguardo verso il volto di Cristo che può illuminare di nuova luce ogni giorno, ogni atto, ogni altra relazione, ogni scelta, ogni parte più nascosta di noi. “Vocazione” è anzitutto un modo di concepire la vita, rendendola generativa per la propria felicità e quella degli altri, essendo se stessi pienamente e pienamente portando frutto. Solo così, solo mettendo in comune ciascuno il proprio piccolo dono – da scoprire, custodire, accrescere – si costruirà una Chiesa di “pietre vive”.

“Non siamo qui per caso, siamo qui per dono!”. Ognuno è un dono, a partire da quanto ricevuto. Anche il pagano ma immensamente umano Seneca, in una delle lettere al suo discepolo Lucilio, scrive: “Negli uomini sono stati sparsi dei semi divini e se li accoglie un buon coltivatore spuntano piante simili alla loro origine e crescono della stessa natura di quei semi da cui sono nate”. Di fondamentale importanza è dunque il discorso sull’educazione, dei giovani e dei più piccoli, questione che oggi è chiamata a raccogliere nuove sfide. Verso ciò è orientata un’altra domanda della serata, poiché diversi giovani sono coinvolti e si sperimentano nel servizio in parrocchia come animatori ed educatori dei ragazzi delle medie e dei bambini: “Tra i tanti stimoli quotidiani, come rimanere empatici e attenti nei confronti di chi ci è affidato? Come essere buoni educatori?” Pochi ingredienti, ma chiarissimi: bisogna innanzitutto “lasciarsi educare” cioè accogliere senza barriere e preconcetti la realtà che ci circonda e nella quale siamo immersi, mettendosi in ascolto di quanto chiede, di quanto a volte grida; avere cura dei percorsi che si propongono, cura sia per il gruppo, sia per il singolo; accompagnare le esperienze proposte, stimolando anche una rilettura del vissuto da cui trarre nuove consapevolezze; saper soffermarsi e chiedere verifiche, per migliorare le proposte. Non devono mancare nella relazione educativa anche l’amicizia sincera e la sincera stima verso chi incontriamo: è un circolo virtuoso, per accrescere la stima di sé nei giovani, per i quali, nell’età della formazione della propria identità, è indispensabile scoprire la propria verità, il proprio vero volto, senza indossare maschere che il timore di non piacere può silenziosamente far indossare. Non ci sono parti da recitare, ma il proprio “magis”, il meglio di e per ciascuno, da scoprire e coltivare. E l’amicizia aiuta proprio in ciò: “l’amicizia aiuta a diventare migliori!”.

Come ultimo ingrediente, quasi lievito che unisce tutti gli altri e accresce, non bisogna scordare la cura per la propria vita spirituale: un rapporto profondo con Gesù nella quotidianità, per comprendere le cose importanti e coltivarle. La lettura del Vangelo, la preghiera nelle sue tante forme, i sacramenti della Comunione e della Riconciliazione per imparare a chiedere perdono e riconoscere le proprie fragilità, il silenzio e i luoghi buoni per ascoltarsi… ecco, qui é bene tornare ogni volta per far emergere e dare nome a quei tesori, in mezzo ai tanti stimoli della modernità che non sempre aiutano a scoprire ciò che rende ciascuno davvero pieno di quella gioia che è stata promessa. Ogni cammino di Pastorale Giovanile deve in definitiva aiutare a capire che siamo figli di Dio e che “il tralcio non vive senza la vite”.

L’invito finale è quello di guardare all’oratorio come quel luogo buono per crescere insieme e maturare scelte buone per il singolo e per tutti. Frequentare e abitare l’oratorio e la parrocchia ci fa abituare allo sguardo di Gesù che ci trasforma. Entrare in chiesa per uscirne cambiati: lo si vedrà nella gioia che accende il volto di chi ne ha intuito la ragione, anche oltre le fatiche e le fragilità; nella responsabilità e nell’impegno di mettere a frutto i talenti ricevuti; nella costruzione della comunità che sia davvero “un cuor solo e un’anima sola”.

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