In occasione della Visita pastorale alla Città di Milano, l’Arcivescovo ha incontrato i giovani del Decanato Vigentino, esortandoli a non sentirsi mai soli perché "Gesù ama ciascuno di noi e vuole renderci felici".
Katia
Castellazzi
Servizio per i Giovani e l'Università
L’Arcivescovo, Sua Ecc.za Mario Delpini, è giunto alla terza tappa della visita pastorale alla Città di Milano, il decanato Vigentino, zona sud-est di Milano. In questa occasione, il 16 marzo, ha incontrato presso la Parrocchia Sacra Famiglia in Rogoredo un folto numero di giovani.
Prima di iniziare il confronto, si è tenuto un momento di preghiera animato da tre giovani della comunità di Taizé, che hanno deciso di trascorrere la Quaresima nel capoluogo lombardo, e a seguire la cena insieme, nel rispetto della normativa anti-Covid vigente. Mons. Delpini è arrivato sul finire di questo momento di convivialità e si è fermato in ogni tavolo a fare conoscenza e scambiare due parole. Il confronto con i giovani è iniziato subito dopo: al Vescovo sono state poste quattro domande da altrettanti portavoci di “categorie” specifiche: i giovani, gli universitari, i lavoratori e le famiglie. Tutte le questioni sono nate da una profonda riflessione tenuta dai giovani con i loro educatori sui capitoli 13 e 14 del Vangelo secondo Giovanni.
Il primo a prendere la parola è stato Roberto, 18enne “in rappresentanza” dei giovani, che ha espresso la fatica dell’essere credenti oggi «sia perché a volte assillati dai dubbi, sia perché vittime del malevolo sguardo altrui» e ha chiesto: «Come invertire il moto di allontanamento dalla Chiesa in atto? Come trasmettere ai nostri coetanei la nostra fede?». L’Arcivescovo ha sottolineato che «il confronto dialettico non è la miglior via per testimoniare la nostra fede perché porta all’irrigidimento e l’obiettivo si riduce all’avere ragione […] La nostra missione, invece, è aiutare coloro che amiamo ad essere felici […] e la via maestra è mostrarsi per primi gioiosi, vivendo in mezzo agli altri contenti di sé, di Gesù e del prossimo». Questa gioia cristiana nasce «non dal fatto che vada sempre tutto bene, ma dall’essere sempre in relazione con Gesù» e dall’attuare il suo nuovo comandamento «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv, 13, 34).
La seconda domanda è arrivata da Tommaso, studente universitario di Rogoredo, che dopo aver evidenziato le sofferenze patite durante la pandemia (lutti, DAD come unica realtà universitaria sperimentata) ha chiesto: «Perché tutta questa sofferenza? Come trovare sicurezza in una Chiesa che, a volte, esprime una sensibilità etica diversa dalla mia? Come destreggiarsi tra il messaggio cristiano di amore reciproco e quello mondano di profitto e risultati immediati?». Di fronte ad una domanda sulla radice del male, l’Arcivescovo ha richiamato il racconto evangelico del cieco nato: «gli apostoli hanno la persuasione che la sofferenza sia un castigo di Dio. Gesù, invece, sottolinea che non c’è nessuna relazione tra le due cose e richiama la loro attenzione sul fatto che la cecità di quell’uomo permette alla gloria di Dio di manifestarsi». Gesù, quindi, ci dice che non conosce la causa della sofferenza, ma ci indica un possibile scopo: anche in una condizione avversa si può manifestare la gloria divina ovvero «l’amore che rende capaci di amare».
Per quanto riguarda invece la questione dello scarto fra la propria sensibilità e quella delle istituzioni ecclesiastiche, l’Arcivescovo ha ribadito in primis che tutti i credenti fanno parte della Chiesa e non solo le gerarchie; in secondo luogo che la Chiesa non può «accontentare la sensibilità contemporanea; deve annunciare il Vangelo» e che non bisogna guardare a Gesù per avere conferme delle proprie opinioni, ma come qualcuno da seguire: «il Vangelo è entrato nella storia come invito alla conversione», non come trattato di morale.
Infine, Mons. Delpini ha anche messo in evidenza come l’idea di un mondo incancrenito vada sfumata: «nelle realtà mondane è entrato il concetto di sostenibilità (produrre profitti nel rispetto di ambiente e persone), che fa parte della Dottrina Dociale della Chiesa»; e poi li ha sfidati a «dimostrare che seguendo principi cristiani l’economia va meglio» e a non subire impotenti la propria vita ma ad avere «determinazione, creatività e fiducia nella Sapienza».
Ha preso poi la parola Antonella, lavoratrice, che ha elencato una serie di difficoltà presenti nel contesto professionale (precarietà, salari bassi, procedure macchinose, difesa costante e competizione tra colleghi) e ha chiesto «Come attuare il versetto “Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14, 1) in un momento in cui la nostra serenità è sempre interrotta: prima dalla pandemia, poi dalla guerra e infine dalla precarietà del lavoro e quindi della vita? Come non perdere la stella polare, Cristo fonte di salvezza?». L’Arcivescovo ha, innanzitutto, richiamato i giovani alla concretezza: «non sempre il lavoro dei sogni è così gratificante. Bisogna trovare il bello in ogni mestiere»; successivamente ha loro ricordato che «il vostro cuore non dev’essere turbato perché Gesù è con voi, sempre, non perché vi risolve i problemi». In ambito lavorativo, il cristiano non deve essere un equilibrista che cerca di fare un po’ di bene per sé e un po’ per i colleghi, ma deve portare felicità e gioia ovunque vada: «L’egoismo non porta alla felicità e il donarsi senza gioia è solo sperpero».
L’ultima domanda arriva dal gruppo “giovani famiglie” che dopo ave messo in luce pregi e difetti di Milano (attività, opportunità VS costo della vita) chiedono: «Come riuscire a vivere nel presente, concentrandosi sulla propria famiglia, realtà locale e dare il giusto valore alle esperienze che ci si presentano?». A questa questione fa poi eco anche un’altra domanda, sorta dalla discussione successiva: «Cosa fare se si vive in un quartiere degradato?» Mons. Delpini innanzitutto ha messo al bando lo scoraggiamento: per vivere meglio la realtà locale bisogna integrarsi nei gruppi esistenti, o crearli in occasione della «Messa domenicale e del famoso sagrato». Inoltre, ha puntualizzato che tutti hanno la possibilità di incidere nella storia, se ci si attrezza per essere una presenza significativa. Pertanto «la fuga dalla politica (arte di costruire la città per il bene comune) non è giustificabile: […] persone fiduciose e convinte possono trasfigurare un quartiere». Il primo passo concreto proposto dal Vescovo è la creazione di rapporti di buon vicinato.
Durante tutto l’incontro sono emersi alcuni tratti di abbattimento e sfiducia motivati dalle condizioni socio-economiche, dalla pandemia e dalla guerra, ma si è levato forte il richiamo di Mons. Delpini: «Noi non siamo mai soli […] lo Spirito di Dio opera su tutto. Gesù ama ciascuno di noi e vuole renderci felici» e ci raggiunge tutti attraverso chi crede: “Voi siete il segno dell’attrattiva di Cristo […] siete mandati a portare la gioia piena”.