Si è svolta giovedì 11 novembre la Giornata di studio "Oratorio: una profezia che si rinnova" realizzata con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per il centenario della morte del beato Andrea Carlo Ferrari, promotore della concezione moderna degli oratori ambrosiani. Dopo l'intervento di apertura dell'Arcivescovo Mario Delpini si sono susseguite relazioni di diverso profilo che hanno tracciato un orizzonte su cui lavorare nei prossimi mesi. Prevediamo una pubblicazione che riprenda questi temi da parte dei relatori nel febbraio 2022.
«Fare dell’oratorio e della situazione attuale un argomento di studio» questo è stato l’intento, esplicitato nei saluti iniziali dell’Arcivescovo Mario Delpini, della Giornata vissuta con l’Università Cattolica di Milano, presso la sede di largo Gemelli 1, giovedì 11 novembre.
«Perché bisogna studiare gli oratori? C’è una evoluzione che è in corso da molto tempo – enfatizzata dall’esperienza del Covid – per cui occorre chiederci come l’oratorio sia una profezia che si rinnova», ha precisato l’Arcivescovo, dando il via a una serie di relazioni che si sono susseguite in due sessioni di interventi, al mattino e al pomeriggio.
La Giornata di studio “Oratorio: una profezia che si rinnova”, realizzata dalla Fom con la Facoltà di Scienze della Formazione e il Dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha raccolto nell’Aula Pio XI diversi esperti che, a livello accademico, intercettano quotidianamente nella loro ricerca l’esperienza dell’oratorio, da diverse prospettive: dallo storico al pedagogico e sociale, dal teologico pastorale allo studio delle dinamiche psicologiche che emergono nel rapporto adulti-adolescenti, dall’approfondimento dell’incidenza che ha lo sport in oratorio sulla crescita integrale, fino al ruolo dei nuovi media, nella interpretazione non solo della loro influenza, ma del loro utilizzo in chiave educativa e innovativa.
L’Assistente ecclesiastico della Cattolica, il Vescovo Claudio Giuliodori, ha sottolineato il legame fondamentale fra ricerca e impegno pastorale: «Una collaborazione che continua in maniera costruttiva e feconda fondamentale, per sostenere l’impegno pastorale con una consapevolezza che da un’Università può essere il contributo specifico del discernimento, perché non si fa profezia senza discernimento, soprattutto pensando a trasformazioni come la rivoluzione digitale, la mobilità, l’esplosione della realtà metropolitana – con il rapporto problematico delle periferie – il diffondersi della interculturalità, dell’interreligiosità, senza tralasciare il tema della sostenibilità. Tutti territori che sollecitano anche l’oratorio ad accogliere la sfida del cambiamento».
Il patrimonio di interventi e relazioni della Gioranta di studio sarà ripreso e ulteriormente curato e revisionato dagli autori per una raccolta di testi che, con l’editrice Centro ambrosiano, pubblicheremo in febbraio 2022.
La Giornata di studio nasce da una commemorazione e diventa occasione di ripensamento del ruolo degli oratori su basi solide. Questa occasione è stata pensata per celebrare il centenario della morte del beato Andrea Carlo Ferrari, Arcivescovo di Milano dal 1894 al 1921. La sua figura lo pone fra i promotori principali dell’idea di oratorio, così come l’abbiamo ereditata fino a oggi, sia per il suo forte impulso nello sviluppo quantitativo della realtà degli oratori in ciascuna parrocchia della Diocesi ambrosiana – e poi delle Diocesi Lombarde – sia per il suo orientamento nel regolamentare la vita degli oratori, unificando in essi la spinta evangelizzatrice e la passione educativa della comunità cristiana.
Grazie a questa Giornata di studio – e allo stretto lavoro preparatorio che si è svolto in Fom e nel Dipartimento di Pedagogia – abbiamo potuto ripresentare i fondamenti dell’oratorio, partendo dalle scelte del cardinal Ferrari per narrare i fondamentali e le costanti dell’oratorio, e anche valorizzare alcune pratiche in atto, molto spesso frutto di un’eredità gloriosa ancora presente, che fanno dell’oratorio di oggi una delle esperienze fra le più aperte e innovative – e quindi fra le più profetiche e promettenti – nell’ambito sia della comunità ecclesiale sia di quanto un territorio possa offrire per la vita di relazione, la socialità e l’educazione delle giovani generazioni.
La Giornata di studio è stata dunque espressione di una ricerca e di un’attività di formazione continua in cui è impegnata l’Università Cattolica, in una collaborazione cordiale con la pastorale degli oratori, con la Fom e con Odielle – pensando ad esempio al Corso di alta formazione “La qualità dell’educare in oratorio” per educatori e coordinatori di Oratorio che sarà attivato ancora nel 2022 – così come ha sottolineato il preside della Facoltà di Scienze della Formazione Domenico Simeone: «Siamo qui per ritornare con il cuore alle radici dell’oratorio per immaginare profeticamente il futuro, con la speranza di dare ai giovani gli strumenti perché possano costruire meglio il domani». Gli oratori dimostrano di essere ancora il laboratorio dove crescono i “talenti”, constatando come «è facile scoprire ad esempio come molti studenti maturano la loro vocazione pedagogica proprio in oratorio e vogliono fare dell’educazione una professione», ha continuato Simeone.
Nel suo intervento, l’Arcivescovo Mario Delpini ha sottolineato quelle tendenze che evidenziano delle costanti dell’oratorio che vanno interpretate nella loro evoluzione e in riferimento al contesto attuale: «L’oratorio è una profezia, nel senso che da un lato è una promessa e dall’altro una contestazione, perché reagisce al contesto in cui siamo. L’oratorio è letto come profezia perché è lo strumento educativo di una comunità e supera l’aspetto dell’individualismo e del clericalismo. L’oratorio è aperto a tutti e interpreta la “Chiesa dalle genti”, contro ogni forma di privatizzazione dell’esistenza. L’oratorio esprime la gratuità come tipica della forma cristiana di educazione, contestazione contro una società in cui tutto si può avere se si paga. L’oratorio si caratterizza come una forma di accoglienza con delle regole, come proposta di un progetto. Questo progetto è comprensivo e unificante e non è un accumulo di frammenti – non frantuma il tempo dei ragazzi – reagendo alla tendenza alla frantumazione della vita delle persone. L’oratorio come profezia, infine, propone di pregare, di condividere il riferimento alla vita spirituale, una contestazione che riduce la vita di preghiera al privato».
Studiando l’oratorio dunque possiamo riconoscerne la profezia e il suo valore ancora promettente, come ha sottolineato la direttrice del Dipartimento di Pedagogia Simonetta Polenghi: «Il valore della sua proposta educativa rimane intatto come testimonia la sua vitalità in diverse comunità cristiane. Non possiamo prescindere dalle radici per poter capire le sfide di oggi e rispondere adeguatamente. Non a caso questa Giornata di studio si apre con una relazione storica e si chiude con una relazione di media education».
Proprio il passato dell’oratorio ci illumina su un modello che non può non essere un riferimento anche per il presente, come ci ha aiutato a comprendere Paolo Alfieri, ricercatore in Storia della Pedagogia (fra i promotori e organizzatori di questa Giornata), in relazione soprattutto all’oratorio di inizio Novecento, regolato dallo Statuto voluto da Andrea Carlo Ferrari e approvato nel 1904: «Anche quello dei primi del Novecento era un periodo di profonde trasformazioni. C’erano le prime avvisaglie della secolarizzazione. Secondo i criteri dettati dal cardinal Ferrari, occorreva trovare un equilibrio tra le esigenze anzitutto religiose della proposta formativa e l’attenzione all’esperienza che le giovani generazioni vivevano nei loro contesti di vita extraecclesiali. Sembra questo un modello anche per l’oratorio oggi». L’analisi storica che Alfieri ha presentato in modo articolato ha evidenziato il superamento di una dicotomia fra educazione religiosa e gestione del tempo libero (animazione/ricreazione) che oggi riconosciamo come elemento imprescindibile dell’oratorio e sulle quali basi ancora possiamo costruire, assumendo l’educazione integrale come criterio di ogni progettualità.
Il professor Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia generale della Cattolica e direttore del corso di alta formazione “La qualità dell’educare in oratorio”, ha contestualizzato le trasformazioni di oggi con cui l’oratorio deve fare i conti: «Chi educa è tenuto a operare nel tempo del pluralismo. Educhiamo nel tempo della multiculturalità e della centralità della soggettività e quindi dei diritti delle persone e dell’attenzione delle sue specificità; nel tempo della professionalizzazione dell’educazione; nel tempo della trasformazione dei rapporti intergenerazionali; nel tempo della cultura dell’immagine e dell’espansione dei nuovi media; nel tempo di una debole appartenenza ecclesiale». Progettualità, collaborazione educativa e regia pedagogica, convivialità sono per Triani gli elementi chiave con cui l’oratorio può accogliere la sfida di educare in questo tempo così complesso: «Questo comporta lavorare sulla qualità della proposta formativa, puntando su percorsi diversificati e significativi e trovare un equilibrio fra la valorizzazione necessaria delle figure professionali e la vita della comunità. L’oratorio deve essere pensato come un ambiente dove il valore dell’informalità, dell’amicizia, della gratuità sono indispensabili».
Una narrativa dell’oratorio è stata fornita da don Rossano Sala, salesiano, teologo pastoralista, che è stato segretario del Sinodo dei Giovani, intervenuto alla Giornata di studio riattivando l’immaginario sull’oratorio, identificandone nuovamente lo stile, rileggendone l’esperienza a partire dal Vangelo e, ancora, con un richiamo alla sua storia, riferendosi a Andrea Carlo Ferrari che ha avviato la “stagione d’oro dell’oratorio” e, naturalmente, a san Giovanni Bosco che per il suo oratorio considerava indispensabili e immancabili “la cappella per lodare Dio, le sale per la scuola e la catechesi, il cortile per la ricreazione”: «Non siamo oggi nella stagione d’oro degli oratori, ma possiamo fare dell’oratorio qualcosa che diventi sempre più “laboratorio”, soprattutto richiamando il tema della sinodalità: l’oratorio è un’esperienza sinodale in atto, dove la partecipazione di tutti i livelli ecclesiali e stati di vita ha sempre funzionato. L’oratorio è profezia di fraternità in atto dove la partecipazione diventa il centro della comunione e della missione».
Un affondo preciso sul rapporto fra l’oratorio e il femminile è stato proposto da Paola Bignardi, pedagogista già presidente dell’Azione Cattolica. Con un richiamo ancora alla storia, ha messo alla luce come «l’oratorio anche per le ragazze abbia educato a un cristianesimo consapevole – contro ogni devozionismo primo di cosapevolezza – e ha dato la possibilità a tante di incontrare figure adulte significative come ad esempio le religiose a cui erano affidati prevalentemente gli oratori femminili. L’oratorio è stato una palestra di assunzione di responsabilità, soprattutto in termini di cura educativa verso le più piccole». Che cosa può essere oggi l’oratorio, là dove non esistono più gli oratori femminili? «Un luogo in cui valorizzare il femminile nella sua specifica sensibilità e spiritualità, un laboratorio di corresponsabilità del femminile nell’ambito della Chiesa, dove l’opinione delle donne possa incidere nelle decisioni. L’oratorio come ambiente educativo che educa al maschile e al femminile e in cui si costruisca il futuro della comunità nella reciprocità fra uomini e donne».
La sessione pomeridiana si è aperta con l’intervento del Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale della Diocesi, mons. Luca Bressan, Teologo pastoralista, che ha presentato uno sguardo di teologia pratica, per entrare nella forma dell’oratorio e coglierne la dimensione dell’educazione alla fede e della dimensione comunitaria. In riferimento ancora allo Statuto del cardinal Ferrari, Bressan individua come si sia accesa la consapevolezza a considerare l’oratorio come “dispositivo educativo integrale“: «L’oratorio è stato immaginato come uno spazio di ordinazione simbolica, chi vi entra si trova immerso dentro un insieme di proposte e relazioni che orientano integralmente la vita delle persone in chiave vocazionale». Rispetto a una visione così forte dell’oratorio, oggi sembra che l’immagine di oratorio si sia indebolita, per cui si rischia che chi vi entra viva una funzione – vengo in oratorio per fare qualcosa – e non colga la forza di una proposta integrale per sé stesso. Eppure c’è bisogno ancora di un luogo dove ci sia una risposta unificante per la vita per esempio rispetto al dilagare delle dipendenze, alla solitudine dei legami spezzati, al fenomeno del branco, alla fatica di vedere chiaro il proprio futuro (narcisismo triste), la crisi della visione vocazionale della vita (afasia vocazionale). Di fronte a questo, ci sarebbe ancora bisogno di uno “spazio di ordinazione simbolica”: «C’è bisogno di ripensare una nuova pedagogia dell’oratorio ispirandoci alla logica della santità, un luogo che insegni a ridire i significati delle emozioni e a riaccendere una razionalità in cui tornare a sentirci un “noi”. Occorre anche ricostruire legami dentro una dinamica generativa che faccia riscoprire il “ruolo del Padre”, riscoprendo l’oratorio come “locanda” (cfr. buon samaritano), riaccendendo la capacità dello spazio oratoriano in cui vivere la quotidianità della fede e, nello stesso tempo, dirne il senso, attraverso una narrazione delle esperienze».
A questa Giornata di studio della Cattolica, è stato invitato anche il professore Sergio Tramma, docente di Pedagogia generale dell’Università degli studi Milano-Bicocca, che testimonia come l’approfondimento e la ricerca attorno all’oratorio come istituzione educativa siano “accesi” anche nell’altro Ateneo milanese che ospita una Facoltà di Scienze della Formazione. Nel suo intervento ha sottolineato come «l’oratorio non si possa pensare come luogo separato dal territorio. Le dinamiche globali che intrecciano i nostri territori locali riguardano anche l’oratorio e lo intercettano e interpellano. Là dove nei territori si sono moltiplicate le esperienze educative e le persone passano da un’esperienza educativa a un’altra, l’oratorio può essere innanzitutto un luogo di incontro virtuoso con l’altro. Scommettendo molto sulla formazione delle persone che vi operano possiamo permettere che l’incontro e il confronto sia fatto su temi importanti e fondamentali e non secondari».
A testimoniare come l’oratorio sia capace di incidere sulla vita e sulle scelte, anche in un ambito come quello sportivo, è intervenuto Antonello Riva, ex cestista e campione di basket, cresciuto in oratorio: «l’oratorio può contribuire a far avvicinare i ragazzi al mondo dello sport; semplificando e presentando come valore il rispetto delle regole, valorizzando la dimensione del gioco, cogliendo le esigenze di ciascun ragazzo e accompagnandolo nella sua crescita». Pensando a quanto sia fondante l’educazione integrale in oratorio, lo sport viene inserito in un contesto di crescita personale e di trasmissione di valori che non lo assolutizza anche quando diventa una professione.
Su come l’oratorio possa essere espressione di una comunità adulta capace di ascolto e immedesimazione con il mondo dei ragazzi è intervenuto Matteo Lancini, Psicologo psicoterapeuta e Presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano: «In questo momento particolare l’oratorio può essere quel luogo dove ai ragazzi sia consentito di parlare, anche di questioni fondamentali, come il senso della vita e della morte. I ragazzi e gli adolescenti hanno un grande bisogno di sentire che ci sono degli adulti che li convochino e gli diano dei ruoli di responsabilità e che li facciano sentire importanti, non solo perché sono pensati ma anche perché vengono aiutati a pensare».
Lancini ha proposto l’idea di un oratorio connesso in cui tutti possono entrare con le loro competenze, pensando sia necessario «inglobale anche il territorio di internet in oratorio». Del rapporto fra oratorio e nuovi media ha parlato Alessandra Carenzio, ricercatrice di Didattica della Cattolica, al termine del percorso di questa Giornata: «Come può essere l’oratorio uno spazio riorganizzato rispetto all’utilizzo dei nuovi media? I media possono essere dispositivi della vita dell’oratorio ma possono essere anche oggetto di studio da parte dell’oratorio e possono diventare quella cornice culturale nella quale possiamo ritrovarci in dialogo, come un tessuto connettivo. Possiamo vedere l’oratorio come uno spazio ibrido, fra il formale e l’informale, in cui diventare competenti nell’incontro con l’altro, come “zona collettiva” fatta di persone in relazione, in cui anche i ragazzi possono insegnare agli adulti, per collaborare insieme».
L’oratorio dunque è spazio profetico, ambiente promettente, pronto ad accettare le sfide del presente e del prossimo futuro, lo si è affermato in cattedra, grazie a una serie di interventi che, per completezza dovremo riprendere nei prossimi mesi e leggere per intero, come stimolo per la nostra progettazione educativa in oratorio, anche nell’ambito del percorso che non si interrompe, quello di Oratorio 2020, stile di relazione sinodale in oratorio.
«Abbiamo l’obbligo dell’intelligenza – ha concluso il direttore della Fom, don Stefano Guidi – cioè dobbiamo essere sempre più capaci di leggere la situazione in continua evoluzione. Per questo, abbiamo fatto parlare voci diverse e autorevoli, per avere uno sguardo più completo, per accrescere la nostra comprensione e sviluppare il nostro pensiero e la nostra azione sull’oratorio in modo intelligente».
Intervista a don Stefano Guidi
Intervista al professor Pierpaolo Triani
Articolo su Chiesadimilano.it con video-interviste ai relatori