Condividiamo alcuni passaggi della riflessione sul brano del Vangelo di Marco 5,25-34 (Guarigione della emorroissa) proposta presso la Basilica di Sant'Ambrogio, per i giovani della città di Milano, da Elena Bolognesi, della comunità Sorelle del Signore, in occasione della seconda serata (martedì 3 dicembre 2024) degli Esercizi spirituali di Avvento

di Francesca Fabrizi

EESS Avvento 2024 - Zona I - Sito

Elena ci ha guidato in una meditazione che interpella profondamente la nostra vita, mettendo in dialogo l’esperienza di Gesù e le sfide quotidiane dei giovani.

Il Vangelo di Marco, oltre a essere il più antico, è anche il più breve dei quattro Vangeli. Nessuna parola è messa a caso, ma ogni dettaglio è scelto con cura, invitando a riflessioni profonde. Il brano racconta l’incontro tra Gesù e una donna nei pressi di Cafarnao. Gesù è in cammino verso la casa di Giairo, un capo della sinagoga che lo ha supplicato di guarire la sua figlia morente, ma si trova circondato da una folla che lo schiaccia e lo soffoca.

La folla appare come un ostacolo all’incontro con Gesù. Essa rappresenta l’anonimato, la confusione e la difficoltà di distinguere ciò che è veramente importante. La folla si accalca attorno a Gesù, ma non è detto che questo avvicinarsi riduca le distanze. Eppure Gesù ha compassione della folla. Si lascia circondare, accogliendo chi lo cerca, anche se talvolta lo fa per i miracoli o per la sua autorità. E per noi “Cosa vuol dire cercare Gesù? Perché lo si cerca? Per i miracoli? Per la sua autorità di insegnamento?”.

Nel Vangelo di Marco sono presentati due modi diversi di entrare in relazione con Gesù, due tipi di fede che con il teologo Theobald possiamo chiamare fede elementare e fede cristica. La protagonista del nostro brano, la donna che soffre di un’emorragia da dodici anni, incarna la fede elementare. Questo tipo di fede non ha un’accezione negativa, ma rappresenta una fede semplice, diretta, che diventa un modello anche per noi. La fede della donna è più incisiva di quella raccontata dei discepoli stessi, quando terrorizzati dalla tempesta vengono rimproverati da Gesù: “Non avete ancora fede?” (Mc 4).

La donna è un esempio di fede. È una donna che ha perso tutto cercando una cura, ma senza successo. La sua condizione di “perdita” è al centro del racconto: da dodici anni perde sangue, ha un’emorragia che la rende impura, e, per la mentalità biblica il suo stato è una maledizione. Nonostante questa condizione di perdita e di distanza, la donna rimane capace di ascolto. È proprio questo ascolto che la spinge a cercare Gesù. E come ci insegna San Paolo “La fede nasce dall’ascolto”.

La donna si mescola alla folla e, sapendo di trasgredire la legge, tocca il mantello di Gesù. Questo gesto, seppur nascosto e silenzioso, esprime una preghiera intensa e cela un’invocazione drammatica. Si potrebbe dire che è la storia di un furto, di una donna impura che ruba a Gesù una parte della sua forza.

I versetti 29-30, centrali nel racconto, sono segnati dall’avverbio ‘subito’: in quel preciso istante, la donna avverte nel suo corpo che il flusso si è fermato e riconosce di essere stata guarita.

In quel momento possiamo riconoscere due modi di conoscenza diversi, quello della donna e quello di Gesù. Per la donna, “conoscere” significa semplicemente rendersi conto che il flusso si è interrotto. Mentre per Gesù, “conoscere” ha una sfumatura più profonda, Gesù si accorge che una forza è uscita da lui e cerca di individuare colei che lo ha toccato. Si volta, la cerca, la chiama e la invita a “svelarsi”. Gesù voltandosi si mette in ascolto, questo è l’atteggiamento di chi non è disposto a lasciare nessuno indietro.

Appaiono anche due modi di “vedere” diversi: quello dei discepoli, che dicono “Tu vedi la folla che ti si stringe intorno a te”, e quello di Gesù, che cerca oltre la superficie. Mentre i discepoli vedono un problema e hanno uno sguardo ristretto e bidimensionale, Gesù guarda la persona in profondità, non si accontenta di uno sguardo superficiale. Gesù si ferma, ascolta, e accoglie la donna non solo fisicamente, ma anche emotivamente, liberandola dalla paura e dalla vergogna. Il suo sguardo è liberatore e trasformante.

Lo sguardo di Gesù cambia tutto: il “sapere” che la donna acquisisce non è una conoscenza intellettuale, ma un sapere che viene dal cuore. Inizia a riconoscere la guarigione in sé, e il suo modo di agire cambia radicalmente. Non si limita più a toccare da dietro, ma “gli si gettò davanti” e si prostra. La distanza fisica si riduce: non è più un gesto nascosto, ma un atto di piena esposizione. Finalmente, la donna “gli disse tutta la verità”, e la sua guarigione diventa una testimonianza pubblica, un atto di fede che la porta a rivelare apertamente ciò che le è accaduto. Tutto ciò è possibile solo perché Gesù ha posato il suo sguardo su di lei, un gesto che trasforma e dona la libertà di esprimere la propria esperienza.

Non solo Gesù non la giudica e non la rimprovera, ma le dice: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Vai in pace e sii guarita dal tuo male”. Gesù accoglie la donna come figlia, restituendole la vita. Quel gesto nascosto e timido, pieno di umiltà, è un atto di fede, che Gesù riconosce e valorizza. La fede, secondo Marco, è proprio questo: toccare Gesù con audacia e fiducia.

La guarigione che Gesù offre non si limita al corpo, ma tocca tutta la persona. Quando dice alla donna “Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”, non si riferisce solo alla fine dell’emorragia, ma a una guarigione che implica anche il ritorno alla comunità e la riconciliazione con sé stessa. La parola “Shalom”, che in ebraico significa pace, indica la pienezza e la completezza di una persona.

La confessione sacramentale è un po’ come toccare il lembo del mantello di Gesù. Come la donna si avvicina a Gesù per toccarlo e ricevere guarigione, così anche noi, nelle nostre fragilità, possiamo avvicinarci a Cristo e trovare in Lui la nostra salvezza e la nostra dignità di figli. La fede elementare che ci viene chiesta è una fede che non ha paura, che non si vergogna, ma si avvicina con fiducia al Signore.

Dal testo sgorgano alcune domande per noi:
Sono capace di rimanere in ascolto anche quando tutto sembra andare storto?
Sono capace di vedere oltre la folla per riconoscere il volto di chi soffre?
Mi permetto l’audacia di toccare il mantello di Gesù, di superare il mio timore, la mia vergogna?

Nella giornata di domani possiamo tornare al Vangelo compiendo due “actio”.

Se ci viene in mente qualcuno che non sentiamo da tempo, che potrebbe essere in difficoltà, è il momento di sentirlo con una telefonata o un messaggio.

Proviamo a fare un tratto di strada in città, nel nostro quartiere, nel tragitto casa-università o casa-lavoro, spegnendo il cellulare e cominciando a guardarci intorno, per accorgerci delle persone che ci circondano. Quanto cambia la vita quando c’è uno sguardo che ci vuole bene, che si accorge di noi?

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