L’intervista a due giovani che hanno vissuto l’esperienza estiva inclusiva che ha unito dei giovani ad altri giovani sordi, nel mese di agosto, al passo del Mortirolo, dove hanno anche posato una croce che hanno prima immaginato insieme nella sua realizzazione. Il progetto “Ad alt(r)e frequenze” è stata una proposta significativa, nata dalla richiesta del Centro Ireos, con l’apporto della Consulta diocesana “O tutti o nessuno” e lo sportello inclusione e disabilità della Fom, la Pastorale giovanile diocesana e Parole buone
Riccardo è un giovane di 20 anni, attualmente alla ricerca di un lavoro in ambito chimico. Ama lo sport, cucinare e dedicarsi agli altri: da sempre frequenta l’oratorio e ora si impegna come educatore dei preadolescenti.
Bianca, anche lei 20 anni, ha iniziato il corso di Scienze dell’educazione all’Università Cattolica e ha tante passioni: disegnare, l’arte, lavorare il legno, ma anche lo sport, in particolare lo sci. Da sempre la sua vita è stata più “in salita”, essendo sorda, ma grazie alla sua forza e all’affetto che la circonda non si è mai abbattuta, anzi!
Non si sarebbero mai conosciuti, probabilmente, Bianca e Riccardo, e così gli altri giovani che con loro hanno partecipato al campo estivo in montagna ad agosto, un’esperienza preparata dagli incontri di conoscenza e di avvicinamento, che li ha uniti molto e può essere una proposta da ripetere, in altri contesti e occasioni.
Quando ti è stata proposta questa esperienza, cos’hai pensato? Avevi qualche timore?
R. Subito ho pensato fosse una proposta molto bella, anche perché mi piace molto, fin da piccolo, la montagna. Quando poi è arrivato il progetto sviluppato nel concreto, ho capito che era un’occasione che non capita tutti i giorni. Speravo sarebbe stata un’esperienza intensa, toccante, e così è stato. Timori… solo perché saremmo stati un gruppo molto variegato, come provenienza, situazioni di ognuno, esperienza di vita, cosa che d’altro canto è anche una grande opportunità perché permette di confrontarsi con molte più persone e realtà: è stato molto bello!
B. Ero molto curiosa. E quando ho capito meglio com’era nei dettagli, avevo molta voglia di partecipare. Sapevo già, come aspettativa, che sarebbe stata una bella vacanza, però avevo un po’ di timore perché ero proprio estranea al gruppo, non conoscendo nessuno, e mi sarei dovuta integrare.
L’estate per te è sinonimo di…
E invece, una parola che sintetizza questa esperienza?
R. Per me l’estate è sinonimo di oratorio e montagna e questo campo ne è stata la perfetta sintesi. Per sintetizzare questa esperienza in una parola, penso a due parole: gruppo perché è fondamentale, senza il gruppo che si è creato probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa, e poi condivisione perché è stata una parte importante di quella settimana.
B. La parola che mi fa pensare di più all’estate è la natura, perché durante l’estate ci si può avvicinare veramente alla natura, al mare, alla montagna, qualsiasi ambiente. Invece durante l’anno gli impegni ti staccano un po’ di più e sei più in casa… La parola che sintetizza per me questa esperienza è: persona nuova, sono tornata cambiata da questa esperienza!
Adeguarsi al ritmo dell’altro è fondamentale quando si è insieme. Ma è facile? Cammini più lento o veloce da solo? Cosa significa fidarsi dell’altro?
R. Ovviamente essere in gruppo o essere da soli non è la stessa cosa, adeguarsi al ritmo dell’altro non sempre è facile, molto spesso risulta anzi parecchio difficile. Io personalmente penso che da solo cammino più in fretta di quando sono in gruppo, però essere in gruppo mi porta a camminare più lento, e questo mi aiuta a pensare, a riflettere di più, e quindi è ancora meglio!
B. Se cammino da sola vado veloce, nel gruppo mi devo adattare alle altre persone ma per me è stato facile adeguarmi al ritmo degli altri.
Mettersi in gioco, nel senso di non perdersi le occasioni, provare, “buttarsi” con coraggio e vivere appieno ogni cosa, è una qualità fondamentale per crescere. Questa esperienza ti ha aiutato in questo? Quali difficoltà o paure avevi? Cosa o chi ti ha aiutato a superarle?
R. Quella di mettermi in gioco era una esperienza che avevo fatto altre volte, anche in oratorio, però questa esperienza mi ha aiutato a imparare un po’ di più a buttarmi. Ha fatto tanto il fatto che siamo stati portati a ragionare e a metterci a confronto con la nostra vita nella sua pienezza, e questa cosa mi ha portato a fare quel passo, quel salto. Una difficoltà nel vivere questa esperienza era proprio legata alla richiesta di mettersi in gioco su cose molto personali, di cui non è facile parlarne con altri, ma anche con se stessi, anche se a volte è più facile parlarne con altri che ammetterle a se stessi. Questa è stata un po’ una difficoltà, ma mi ha aiutato vedere che anche gli altri giovani stavano vivendo la stessa situazione.
B. Nella mia vita fino ad adesso ho sempre avuto paura di provare cose nuove, di fare esperienze diverse dal solito, però grazie ai miei genitori, che mi hanno un po’ supportata e anche un po’ spinto, ho avuto il coraggio per fare anche questa esperienza estiva! In generale avevo difficoltà nella comunicazione, ovviamente, con le persone udenti, che non conoscevano la lingua dei segni. Io sono nata in una famiglia udente, però tante volte le persone udenti non capiscono la mia voce, e quindi durante questa esperienza avevo paura di non riuscire a comunicare. Però grazie agli interpreti e agli assistenti della comunicazione che erano presenti sono stata aiutata a tradurre e gli educatori e i responsabili hanno cercato di coinvolgere noi ragazzi sordi nel gruppo dei giovani udenti, quindi questo è stato molto importante.
Cosa ti ha sorpreso di più che non immaginavi dell’esperienza vissuta? Quale “linguaggio” vi avvicinava?
R. In senso positivo mi ha sorpreso molto il gruppo che si è venuto a creare: venivamo da realtà molto diverse, tra cui i giovani sordomuti, e nel passare una settimana a vivere insieme mi ha sorpreso che siamo riusciti a superare tutte le distanze e difficoltà oggettive, come quelle del linguaggio e della comunicazione: all’inizio era un po’ complicato ma alla fine c’era proprio una bella armonia. Ero già abbastanza consapevole che ognuno di noi è unico e diverso, ed è una cosa stupenda, ma ogni tanto continuare a ricordarlo non fa male, aiuta a cementificare questa idea. Conoscersi penso che sia sempre bello, perché scopri cose nuove, persone, realtà a cui non pensavi, oppure trovi qualcuno con le tue stesse passioni, e questo è bello. Penso che in esperienze di questo tipo spesso le parole sono superflue. Molto spesso ti dà di più un sorriso o quello sguardo ricambiato, e in questo quello che conta è essere naturali, ognuno poteva essere se stesso, quindi questo ha avvicinato molto e ha facilitato la comunicazione. Secondo me è stata una cosa molto immediata, anche perché avevamo già fatto degli incontri in cui ci eravamo conosciuti, e questo sicuramente ha facilitato le cose. La prima serata siamo starti coinvolti nel mimare delle fiabe, in modo molto semplice: questo gioco che faceva ridere ha scaldato l’atmosfera e ci ha aiutato ad unirci in modo simpatico.
B. Grazie agli sguardi, oppure al mimo, o ancora ad esempio anche un movimento, magari un po’ buffo, che faceva ridere: questi piccoli gesti ci hanno aiutato credo tutti a comunicare e a comprenderci senza il bisogno di usare l’italiano e neanche i segni. Quando ho conosciuto il gruppo degli udenti, erano molto curiosi di conoscere la lingua dei segni, questa cosa non me l’aspettavo! Mi sono molto meravigliata perché ho visto come tutti si sono molto impegnati nell’integrazione, per cercare di stare insieme, sordi e udenti. All’inizio, il primo giorno, mi ricordo che ero ancora un po’ ansia, non sapevo che cosa mi potesse attendere: con il gruppo di giovani non è stato facilissimo integrarmi subito, con il gruppo degli udenti, ma anche con il gruppo dei sordi, perché un pochino si conoscevano già mentre io, come ho già detto, non conoscevo nessuno, ero una persona proprio nuova.
Quali erano i momenti che scandivano la vacanza in montagna? Come erano organizzate le giornate? Quali ricordi porti nel cuore?
R. Le giornate erano semplicissime: ci svegliavamo e i momenti erano sempre insieme, da quando ci alzavamo alla colazione fino alla preghiera prima di andare a letto, erano sempre momenti di gruppo e condivisione, anche se non mancavano momenti personali per stare soli a riflettere. C’erano nelle diverse giornate attività guidate di riflessione o di attività manuali, come quelle per finire di costruire la croce. Tra i ricordi che ho più nel cuore, sicuramente c’è il momento di quando siamo arrivati in cima, quello è stato davvero un momento di gioia perché c’eravamo riusciti. Un altro momento molto bello è stato quando ciascuno di noi ha scritto una lettera al se stesso tra dieci anni, per me è stato molto significativo perché mi ha aiutato a riflettere e confrontarmi con quello che é stata la mia vita fino adesso e su ciò che vorrei nei prossimi anni. Tra le cose belle che vorrei sottolineare, oltre a conoscere persone nuove, è stato quello di poter legare di più con le quelle che già si conoscevano, magari scoprendo nuovi lati che fino a quel momento non si sapevano.
B. Forse il ricordo più bello lo associo all’ultimo giorno, quando ci siamo salutati: ho salutato tutti i ragazzi, sapendo che sicuramente li avrei rivisti più avanti. È stata una bella sensazione per me pensare di rincontrarli di nuovo e non che l’esperienza finisse qui.
“Ad alt(r)e frequenze” si intitolava l’esperienza: su quali “frequenze”, simbolicamente, secondo te dovremmo tutti sintonizzarci? Cosa potrebbe aiutare a superare distanze e limiti che a volte son solo nella nostra testa ed essere più solidali e uniti?
R. Dopo un’esperienza del genere è importante sintonizzarsi sulle frequenze della condivisione, abbandonando tutte quelle cose che ci limitano, come pregiudizi e ipocrisia. Capisco che non sia semplice riuscire a connettersi a queste frequenze per tutti. Esperienze di questo genere ti segnano da questo punto di vista e sono un ottimo punto di partenza per iniziare a cambiare il nostro modo di vedere. Dato che non è possibile per tutti fare esperienze di questo genere, per noi che l’abbiamo vissuta è molto importante testimoniare quanto ci ha lasciato.
B. Per essere più solidali nella vita secondo me serve l’ascolto, perché tante persone e ragazzi non ascoltano. Bisogna avere anche un po’ la pazienza di ascoltarsi, ovviamente. Però la società non ha tempo, corre, e quindi sembra che questo tempo non ci sia per ascoltare: so che ascoltare è un impegno, però avvicina le persone, e permette di conoscere meglio gli altri, e allo stesso tempo anche se stessi.
Il simbolo che vi ha uniti è un simbolo potente: la croce. Cosa ha significato per te? Soprattutto visto che siete stati coinvolti nell’immaginarla insieme, scegliendo i materiali, fino a poi vederla concretamente realizzata e portarla fisicamente al passo…
R. Quella di realizzare la croce è stata molto particolare, per noi che la vediamo solo appesa, mai avrei pensato di dover immaginare come realizzarla! Mi ha aiutato ancora di più a capire quello che la croce rappresenta, e quello che rappresenta per me. IL fatto di doverla personalizzare, disegnando per esprimere quello che per noi era la croce, è stato davvero insolito e profondo, portarla su è stato faticoso ma è stata pienamente ripagata la fatica.
B. Per me il simbolo della croce ha significato un abbraccio. Il secondo giorno siamo andati a Tirano, il paese vicino, per iniziare a lavorare e a completare la croce e hanno chiesto di fare un disegno su dei quadretti, da mettere proprio dentro la croce. Io ho fatto un disegno: era l’abbraccio perché per me è proprio un’immagine che esprime molto…il cammino, la fatica, arrivare e vedere la croce è come aver trovato il posto giusto per essere e sentirmi vera insieme agli altri.
Come speri possa continuare quest’esperienza? Quali frutti e desideri vorresti?
R. Io spero che questa esperienza continui con un racconto per comunicare agli altri quello che si è vissuto, quello che abbiamo dentro, e spero che possa continuare con il gruppo che si è formato, che si possa allargare o che si possa ritrovarsi a vivere esperienze simili.
B. Voglio assolutamente andare avanti e continuare perché noi abbiamo scritto una lettera a noi stessi, l’abbiamo lasciata nella croce, e giustamente dobbiamo di nuovo incontrarci, anche tra dieci anni, per aprire queste lettere e leggerle tutti insieme. Sarebbe una cosa bellissima questa da fare. Così come spero che i giovani che hanno imparato anche un po’ la lingua dei segni possano raccontare ad altri di questa esperienza insieme, e allo stesso tempo mi auguro che per i giovani sordi sia stata un’esperienza che abbia lasciato un segno dentro di loro, come è stato per me.