Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. […] Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
L’icona biblica scelta per l’anno oratoriano ci mette sulla strada. Sono le strade percorse dai 72 discepoli che Gesù ha inviato. Erano strade forse già note, perché Gesù ne ha percorse molte e verosimilmente i suoi discepoli lo avevano seguito nel suo percorrere la Palestina. Ora però toccava ai discepoli imitare il maestro mettendosi per via. Da subito precisiamo che l’interesse di questa icona biblica non è tanto la missione, l’annuncio, quanto l’andare, l’essere per via, il disporsi in un situazione di pellegrinaggio. Per citare lo slogan di quest’anno oratoriano, ci sta a cuore l’essere in VIA COSÌ!
Gesù è in cammino
L’evangelista lega l’invio dei 72 all’episodio immediatamente precedente («Dopo questi fatti»: v. 1). Che cosa era successo? Luca racconta in 9,51 che Gesù aveva preso la decisione di intraprendere il suo viaggio a Gerusalemme, dove avrebbe concluso la sua vita morendo sulla croce. Gesù stesso quindi è in cammino, sta compiendo un pellegrinaggio. Gesù è consapevole che non si tratta di un pellegrinaggio simile agli altri, vissuti per commemorare e rivivere la pasqua ebraica. Nella gloriosa apparizione sul monte Tabor, nell’episodio della trasfigurazione, intrattenendosi con Mosè ed Elia egli aveva parlato «del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme». La parola “esodo” dice di un uscire, che avrà la forma – lo sappiamo bene – del donare la vita sulla croce.
È dunque in questo contesto che Gesù prende l’iniziativa di inviare i sui discepoli «a due a due davanti a sé». Egli forse pensa anche a chi lascerà sulla terra dopo la sua risurrezione e ascensione al cielo, pensa al “dopo di lui”. Egli che è “inviato del Padre”, invia a sua volta.
I 72 sono chiaramente invitati da Gesù e per Lui, per preparare la sua venuta. I 72 vanno sapendo che Gesù arriverà, che sta arrivando. Un’interpretazione accreditata legge il numero 72 come il numero complessivo dei popoli della terra (secondo l’elenco riportato da Genesi 10, nella traduzione greca): l’invio riguarda tutte le persone del mondo e coinvolge tutte le persone del mondo. Si realizza il grande progetto di Dio, quello di coinvolgere tutte le genti nell’annunciare a tutti il Vangelo del regno.
Cammino è preghiera
Gesù constata che sono pochi gli operai che possono lavorare il “campo che è il mondo”. Esorta i discepoli a pregare il “padrone della messe”, cioè il Padre, che invii operai nella sua messe. Perché Gesù coinvolge nella sua preghiera gli inviati? Forse vuole aiutarli a non pensarsi come gli unici missionari, depositari esclusivi del comando di andare.
Subito dopo aver invitato a pregare, Gesù li invia. La consapevolezza del deficit (di operai) non genera né paura né paralisi, ma sollecita il mettersi in cammino. Sembra quasi che l’andare stesso sia il modo di pregare, ciò che permette di sperimentare l’operare di Dio nella storia. Quando preghiamo infatti non siamo mai noi a suggerire a Dio che cosa deve fare (lo sa bene lui!); al contrario il nostro pregare è metterci in sintonia coi desideri di Dio, per poter comprendere che cosa ci chieda e ottenere il coraggio di attuarlo. L’andare dei 72 diventa per loro e per chi li accoglierà la modalità per scoprire e accogliere il disegno benevolo di Dio sull’umanità.
Lo stile del cammino
Gesù però aggiunge parole molto precise e chiare: «Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada». L’andare comandato da Gesù ha uno stile particolarissimo. Impone una precarietà e di non poter fare affidamento su nessuna “ricchezza”. L’inviato deve dipendere da chi lo accoglierà. Gesù non si limita a mandare, ma manda VIA COSÌ. Sono possibili altri stili di invio che tradiscono il desiderio e l’intento di Gesù.
Gesù sembra privilegiare l’intimità della casa all’anonimato della strada: in questo senso si può intendere l’ordine di non salutare nessuno per strada, ma di cercare qualcuno che accolga nella propria casa. Agli occhi di Gesù, non sembra contare quante persone si raggiungono, conta piuttosto l’esperienza fatta. Quando si incontra “un figlio della pace”, ovvero un uomo disposto ad accogliere il mistero di Dio, Gesù afferma che «La vostra pace scenderà su di lui». L’incontro con gli altri genera una gioiosa scoperta: gli inviati possiedono la pace (Gesù dice la “vostra pace”), che possono donare a chi la sa accogliere.
Le indicazioni di Gesù ai 72 entrano anche nei dettagli minuti: «Mangiate quello che vi sarà offerto». Gli inviati vivono di grande accoglienza: non hanno gusti propri e non hanno preclusioni all’incontro. Tutto per loro è buono e “puro”. Quest’ultima indicazione ha una notevole risonanza per la nostra Chiesa in cammino sinodale per scoprirsi sempre più Chiesa dalle genti: pensiamo a quanto la cucina possa creare comunione, conoscenza e fraternità tra le popolazioni che vengono da paesi differenti, contribuendo in termini molto concreti ad abbattere le barriere innalzate da pregiudizi e non conoscenza.
Oltre al saluto, l’altro gesto “comandato” dal Signore a favore degli altri è la guarigione: «Guarite i malati». L’annuncio esplicito («È vicino a voi il regno di Dio») è conseguenza di un gesto di prossimità molto particolare, ai malati. La vicinanza ai piccoli e ai poveri appare come l’autentica cartina di tornasole che garantisce la fedeltà dei gesti ecclesiali all’intenzione di Gesù.
La gioia del ritorno
Al termine della loro missione, di cui san Luca non racconta nulla, i 72 tornano pieni di gioia. Pare che la missione abbia avuto “successo”, anzitutto perché gli inviati stessi sono nella gioia. Nel vangelo di Luca la gioia è il sentimento che accompagna la nascita di Giovanni Battista e soprattutto di Gesù («Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi un salvatore…»: 2,10). La gioia è l’irrompere di Dio nella storia degli uomini. Gli inviati credevano che la ragione di questa gioia fosse l’essere riusciti a scacciare i demòni nel “nome di Gesù”, ma in realtà Gesù educa il loro sguardo…
Ai discepoli preoccupati di aver valorizzato bene il potere connesso al “nome di Gesù”, il Maestro insegna che la vera ragione della gioia e della pace è che i loro nomi sono custoditi da Dio: «Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». La missione apre agli inviati la possibilità di scoprire che la loro vita è custodita nel cielo. Scoprono che la ragione della loro gioia e della loro pace non sono i propri successi (pastorali), bensì l’amore di Dio Padre che li precede.
Gesù, che è pellegrino verso Gerusalemme, vuole anche i suoi discepoli pellegrini per il mondo. Non affida loro un messaggio verbale, ma uno stile di prossimità e vicinanza, reso quasi obbligato dal divieto di portare nulla con sé. L’incontro generato da questo invio fa scaturire la gioia (in chi è inviato) e la pace (di chi accoglie), ma soprattutto permette di sperimentare che i nomi (simbolo dell’identità complessiva della persona) sono scritti e custoditi nei cieli (simbolo del cuore di Dio).