Un agile libretto accompagnerà gli educatori nella preghiera e nella riflessione durante le giornate della Settimana dell’educazione 2014. Sarà l’incontro con un prete amico che poi «fisicamente» verrà a incontraci in una «peregrinazione» speciale: è l’incontro con don Bosco!
Nella sua cameretta don Bosco volle un piccolo quadro con una citazione biblica che san Francesco di Sales (patrono dei salesiani) reinterpretò nella sua missione pastorale e che san Giovanni Bosco considerò come principio insostituibile: «Da mihi animas, caetera tolle» (Dammi le persone; i beni prendili per te, Gen 14, 21). Questa frase non la si comprende appieno se non si va al cuore della passione educativa di don Bosco.
«Da mihi animas» è una continua tensione a cogliere il vero bene, il valore autentico di ogni azione educativa, che sono proprio le persone. Un educatore con i ragazzi e i più giovani cerca innanzitutto un «punto di incontro» e una «costante comunicazione», anche affettiva, sapendo che la relazione educativa è qualcosa di prezioso e di delicato e che ogni persona, soprattutto se piccola, è «un mondo» a cui accostarsi con rispetto. Per questo non si può improvvisare ma non si può nemmeno progettare tutto a tavolino, freddamente e senza «compromettere» la propria vita, anche a costo di perderci: «caetera tolle».
«Da mihi animas» è una scelta di campo che consiste nel condurre i ragazzi ad un bene più grande partendo da quello che sono «oggi». L’educatore sa che Dio ha per loro un «sogno» e che spetta a lui creare le condizioni perché ciascuno lo possa scoprire.
«Da mihi animas» è ancora uno stile per cui l’educazione diventa un costante investimento di pensiero, di azione e di preghiera, perché nulla rimanga intentato ma tutto venga considerato con oculatezza e senso critico. L’educatore sa che di mezzo ci sono le «anime», cioè la vita intera delle persone, chiamate – come diceva don Bosco – ad essere «felici nel tempo e nell’eternità» e niente meno di questo. Ci si deve scoraggiare di fronte a questa proposta di felicità? Niente affatto! Secondo don Bosco, l’educatore è un’ottimista, è carico di speranza, e pensa che la felicità sia qualcosa di possibile e realizzabile.
Il nostro sforzo, alla sua scuola, consiste nel ricercare, nel profondo del cuore, le motivazioni della nostra gioia perché diventi «contagiosa» proprio perché condivisa, senza riserve, spendendosi con una fede salta (ritorna il «caetera tolle»).
Nel percorso che proponiamo in queste pagine, leggeremo alcuni brani dei testi che don Bosco scrisse per i suoi giovani, perché potessero, dalla storia e dall’esempio, imparare un metodo per diventare anche loro degli educatori. Don Bosco non fu un teorico dell’educazione. Le Memorie dell’oratorio, il Sistema Preventivo, la Letterada Roma, le Biografie di Domenico Savio e Michele Magone sono tutti scritti di don Bosco che illustrano bene sia la sua esperienza educativa che le sue scelte pedagogiche, ne proponiamo alcuni stralci per andare al cuore di uno stile che, appunto, non è una teoria ma è frutto della vita.
A chi gli chiese di teorizzare il suo metodo educativo, don Bosco rispose: «Mi si domanda come educo i ragazzi. Io li tiro su come mia madre tirava su noi in famiglia. Di più non so». Per conoscere don Bosco occorre allora «incontrarlo» e fare esperienza della sua vita. Occorre pregare con lui così come si fa con un bravo prete educatore e occorre con lui farsi le domande giuste per verificare il proprio servizio e le proprie scelte. È quello che proponiamo di fare in particolare nei giorni della Settimana dell’educazione. Ritagliare uno spazio per sé, fare silenzio e mettersi in ascolto, vivere concretamente qualcuna delle parole chiave che ci vengono presentate come «confessione» e «comunione», ma anche «allegria» e «amorevolezza», affinché il Vangelo che proponiamo ai più giovani sia «il Vangelo della gioia».
Il libretto «Da mihi animas – educatori alla scuola di don Bosco» è disponibile presso la libreria In dialogo dal 7 gennaio 2014.