Condividiamo alcuni passaggi della riflessione sul brano di Esodo 3,1-15 proposta dal nostro Arcivescovo ai giovani che si sono riuniti presso la Chiesa di Cristo Re, a Sovico, in occasione della seconda serata (martedì 28 novembre 2023) degli Esercizi spirituali di Avvento
Letizia
Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università
Ieri, martedì 28 novembre (e così oggi, mercoledì 29 novembre), l’Arcivescovo Mario Delpini ha parlato al cuore dei giovani raccolti in preghiera nella Chiesa di Cristo Re, a Sovico, nella sede scelta per gli Esercizi spirituali d’Avvento nella Zona pastorale V.
«Perché ti sottovaluti?», chiede loro l’Arcivescovo. È la percezione che prova Mosè, nel brano di Esodo 3,1-15, alla richiesta di Dio, che appare “esagerata”, spropositata, oltremisura, eppure parla ancora a noi, non una stranezza, ma una “vocazione”. Mosè si sottovaluta, non si sente all’altezza della missione che il roveto gli vorrebbe assegnare e si spaventa. Era una vita tranquilla, ripetitiva, portando al pascolo il gregge: lavoro e deserto, famiglia e pecore, un “nido rassicurante”, senza imprevisti. E io? Forse anche io non mi sento capace di guardare lontano, di intraprendere questo “viaggio” della vita: il viaggio di un giovane che decide la facoltà in cui studiare, il lavoro in cui impegnarsi, l’amore con cui legarsi… ma fatica a vedere lontano, a sentirsi “all’altezza”. Oppure non vedo una meta che mi attiri, la strada da percorrere e «per questo non parto e non decido», o, ancora, «vedo la meta e la strada ma non mi fido di me stesso» (penso ai tanti propositi che non sono riuscito a mantenere).
«Nessuno di noi dovrebbe restare troppo sorpreso se prova turbamento di fronte a un invito, a una chiamata – spiega l’Arcivescovo -. Il turbamento è il segno che sta avvenendo qualcosa di grande, di decisivo, di cui forse ciascuno di noi non si sente all’altezza». E rivolgendosi a ciascuno: «Cosa ti aspetti?», – questa sera ma più in generale dalla vita -, «se non ti aspetti niente rischi di passare oltre il roveto ardente senza la curiosità di Mosè, anche davanti allo spettacolo di un fuoco che arde eppure non consuma il roveto».
«Cosa ti aspetti, nella tua età, in cui magari ti sottovaluti, in cui magari sei più portato a fare l’elenco dei tuoi fallimenti rispetto a quello dei talenti che hai ricevuto… Cosa ti aspetti di fronte alla proposta, alla chiamata, a un incontro che ti coinvolge e sconcerta?». Forse, guida nella riflessione, «ti aspetti che il Signore approvi la tua “cautela rinunciataria”», “una pacca sulla spalla”, una accondiscendenza.
«Questa sera – o forse un altro momento -, in realtà, avviene una annunciazione: tu sei chiamato per nome, tu sei unico e a te si rivolge l’angelo di Dio». Chi sarà questo angelo di Dio? Una parola di Dio che mi dia ragioni per vivere e non morire. Forse la parola di una persona cara, una parola che sembra arrivarti per caso, un annuncio dal Vangelo a Messa, o sfogliando un libro, o leggendo una poesia, ascoltando una canzone, forse “un roveto ardente”, un’esperienza di fuoco (come la GMG di Lisbona) che non era prevista. O ancora una parola leggera, in giro nel vento, che entra in casa tua.
«Per rendersi conto – spiega loro – che c’è un angelo di Dio che mi visita, ci vuole almeno un po’ di deserto, un po’ di silenzio per far risuonare la parola, per scoprire la sorgente dell’acqua viva ci vuole almeno un po’ di sete, per riconoscere il bene che puoi fare, i talenti che puoi spendere e trafficare, ci vuole un po’ di compassione, qualche situazione che muova dentro di te qualcosa. Forse qualcuno di voi, forse anche tutti, l’avete già ricevuto l’angelo di Dio. Quando? Qual è la tua esperienza di incontro con Dio in cui hai sentito pronunciare il tuo nome?».
Mosè fa i conti con i suoi limiti. «“Chi sono io per” è l’obiezione che troppo spesso ci trattiene dal cogliere l’annunciazione». C’è bisogno dello sguardo di Dio su di sé, non di uno specchio che con ossessione mi ripieghi su me stesso, rimandandomi un’immagine insignificante, incapace di qualsiasi cosa, in cui notare solo i difetti o fantasticare su chissà quali poteri: sia l’euforia sia la depressione sono malattie dovute all’essere soli.
C’è bisogno dello sguardo di un altro, per farti recuperare fiducia in te stesso: genitori, insegnanti, preti, educatori, anche persone incontrate per caso, una persona di cui hai stima e che ti apprezza, ecco il modo in cui puoi conoscerti veramente, riconoscendo dei doni che neppure pensavi di avere.
«Il rischio è che uno si convinca di non valere niente. L’angelo di Dio, invece, ti dice sempre che Dio ha stima di te, che Dio si aspetta del bene da te, Dio ti chiama perché tu sei capace, hai dei talenti meravigliosi, hai anche dei limiti certo, ma Dio ti guarda e ti stima, ti trova amabile, prezioso. Di fronte al blocco, al disagio, all’esitazione, -“come faccio io?” – la risposta di Dio è: io sarò con te».
Per convincersi a mettersi in cammino non serve una specie di autoconvinzione, “devo farcela”, dimostrare qualcosa, sforzarmi di essere il migliore: «La forza del cammino è l’amicizia con Gesù, è rimanere in Gesù. La missione non è prima di tutto fare qualcosa, impegnarsi in un incarico. La mia grande raccomandazione è dimorare in Gesù e con Lui si capisce cosa fare, dove si deve andare, cosa fare nella vita, quando matura una scelta».
È una cosa che riguarda tutti: crescere nella sua conoscenza, nell’amicizia personale con Gesù. Rimaniamo in Gesù, non siamo “qui per caso”, il Signore ci ha chiamati. Non sappiamo quale frutto sarà, ma con Lui porteremo molto frutto.