Non vogliamo interrompere la riflessione su un documento che segna una svolta nel rapporto fra Chiesa e Sport, pur constatando la continuità di un cammino che vede proprio nelle nostre società sportive e nella loro interazione con gli oratori una immagine emblematica.

Massimo Achini
Presidente provinciale del CSI - Comitato di Milano

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Quella del 1 giugno è una data che resterà impressa nella storia dello sport mondiale. Nessuno ha vinto medaglie. Nessun record storico é stato battuto. Nessuna finale di mondiali o olimpiadi. Molto di più.

Allora cosa è accaduto?

È stato presentato il documento preparato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita “sulla prospettiva cristiana dello sport e la persona umana”, dal titolo “dare il meglio di sé”.

Un documento che genera entusiasmo e speranza nel cuore di ciascuno delle centinaia di migliaia di persone che “abitano” quotidianamente il mondo dello sport . Dando un occhiata al documento tutti, ma proprio tutti sentono che è rivolto a loro. Da quegli eroi del quotidiano che sono le centinaia di migliaia di allenatori, dirigenti, animatori che operano in quelle piccole e meravigliose società sportive d’oratorio, di quartiere, di periferia… a chi (atleti, dirigenti, allenatori) ha fatto dello sport il proprio lavoro… a chi come giornalisti, spettatori e persino investitori vive lo sport da prospettive diverse.

Perché questo documento genera entusiasmo e speranza in modo così evidente?

Almeno per tre motivi fondamentali.

 

La novità di un documento ufficiale

Da sempre la Chiesa ha a a cuore il mondo dello sport. A partire dagli inizi del Novecento i discorsi ed i messaggi dei Papi che si sono succeduti sullo sport sono tantissimi. Anche i convegni e gli incontri per “parlare di sport” e approfondire le sue potenzialità educative e pastorali sono stati numerosi e molto significativi. Tuttavia, come richiamato dal Cardinale Farrel, «non esisteva ancora un documento che raccogliesse il pensiero e i desideri della Chiesa cattolica relativi alla pratica sportiva, sia quella svolta a livello professionale sia quella di tipo amatoriale». Il documento che viene offerto «non ha la pretesa di rispondere a tutte le domande e alle sfide che oggi pone il mondo dello sport, ma intende raccontare il rapporto tra lo sport e l’esperienza di fede e offrire una visione cristiana della pratica sportiva». Non è neppure un testo per studiosi o ricercatori ma una riflessione sullo sport “divulgativa e pastorale”.

Dunque una novità fondamentale. Non semplicemente un documento tra i tanti, ma una pubblicazione che forse si aspettava da tanto e che fa sentire a tutto (ma proprio tutto) il mondo dello sport l’attenzione e la presenza della Chiesa.

 

La chiesa è di casa nello sport. Lo sport è di casa nella chiesa

Lo sport, nella complessa realtà del mondo di oggi, è una realtà troppo importante in termini di potenzialità educativa e pastorale. Rappresenta davvero un occasione straordinaria per educare alla vita e per testimoniare il Vangelo.

Oggi però lo sport è chiamato a non tradire se stesso. È chiamato cioè a non “buttare via” o a non lasciare “inespresse“ le potenzialità educative che ha.

E una cosa è certa: lo sport non può salvare se stesso da solo.

La vera novità del documento è in realtà una conferma.
Una conferma riaffermata, ribadita, sottolineata con determinazione. Una conferma che genera speranza che davvero lo sport possa dare il meglio di se stesso. In tantissimi punti del documento si legge con chiarezza la volontà della Chiesa di abitare il mondo dello sport.

La Chiesa deve essere in prima fila per elaborare una pastorale dello sport adatta alle domande degli sportivi e soprattutto per promuovere uno sport che crei le condizioni di una vita ricca di speranza.
La Chiesa non si limita a incoraggiare una qualificata pratica sportiva, ma vuole essere ”dentro” lo sport, considerato come un moderno Cortile dei Gentili e un areopago dove annunciare il Vangelo.

Questa convinzione è ribadita numerose volte con una semplicità e chiarezza illuminate. «La Chiesa desidera essere a servizio di tutti coloro che operano nel mondo dello sport, da coloro che sono professionisti e lavoratori, fino a tutti coloro che sono impegnati come volontari, ufficiali di gara, allenatori, insegnanti, dirigenti, genitori e atleti».

Tramonta definitivamente quell’idea mai esistita davvero, ma diffusa nell’immaginario collettivo che nella Chiesa chi si occupa di sport lo fa per una “sensibilità o un pallino” del tutto personale.

L’altro passaggio che vorrei sottolineare è che viene detto e ribadito con chiarezza che la strada che viene indicata non è quella di uno sport cristiano, ma di una visione cristiana di sport.
Quando nacquero federazioni e associazioni sportive di carattere internazionale o nazionale di matrice dichiaratamente cattolica, la finalità non fu quella di creare uno sport “cristiano”, diverso, separato o alternativo allo sviluppo dello sport, ma di offrire un modo di vivere lo sport fondato sulla idea cristiana dell’essere umano e della società.

Questa attenzione ha maturato ben presto una visione di sport. In uno dei suoi documenti sullo sport, la Conferenza Episcopale Italiana scrisse che «se non esiste uno sport cristiano, è invece pienamente legittima una visione cristiana di sport, che non si limita a conferire a esso i valori etici universalmente condivisi, ma avanza una prospettiva propria, innovativa e coerente, nella convinzione di fare un servizio sia allo sport che alla persona e alla società… Senza in alcun modo pregiudicare e invalidare la specificità propria dello sport, il patrimonio della fede cristiana libera questa attività da ambiguità e deviazioni, favorendone una piena realizzazione».
Il cristianesimo non è pertanto un “marchio di qualità etica” dello sport, una etichetta giustapposta ma esterna a esso. Il cristianesimo si propone come valore aggiunto, in grado di dare pienezza all’esperienza sportiva.

Non si tratta dunque di “condannare” lo sport e di costruire uno sport alternativo. Si tratta di “sporcarsi le mani” e di seminare, ogni giorno, in tutto il mondo dello sport, senza tralasciare nemmeno un millimetro del campo. Si tratta con coraggio di ridare senso, identità, centralità alla persona, a partire dall’attività sportiva dei nostri oratori ma con l’umile convinzione di esserci e far sentire la nostra presenza in ogni contesto sportivo.

Si tratta di cambiare lo sport (laddove serve) per renderlo sempre più strumento per educare alla vita in ogni ambito e ogni contesto.

 

 

La grande responsabilità affidata allo sport

C’è un’altra cosa che cattura. La profondità della riflessione e la semplicità del linguaggio. Un documento che arriva a tutti. Un documento facilmente comprensibile a tutti. Un documento che con chiarezza ed immediatezza fa sentire la presenza, l’abbraccio e la fiducia della Chiesa nello sport.

Un documento che regala allo sport una grandissima responsabilità ed un occasione storica che non può andare sprecata.

Questo documento deve essere condiviso ed approfondito nei consigli di ogni ente di promozione sportiva o di ogni federazione e realtà che organizza lo sport in Italia.

Deve essere discusso e approfondito nel consiglio direttivo di ogni società sportiva d’oratorio e di ogni società sportiva che sente di essere agenzia educativa.

Deve diventare patrimonio di tutti quelli (dirigenti e allenatori) che stanno con i ragazzi per educarli alla vita.

Di fronte a questa novità tutti devono davvero “dare il meglio di sè”.

 

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