Il regista Andrea Carabelli, che con don Maurizio Tremolada ha portato in scena il recital sul tema della festa: «Abbiamo utilizzare questa formula per rendere più intensa la comprensione del tema e per creare una festa nell’atto stesso»
di Veronica TODARO
Con don Maurizio Tremolada ha portato in scena all’Agorà di Carate Brianza il recital sul tema della festa. Il regista Andrea Carabelli ha costruito un percorso attraverso alcuni testi letterari e poetici e brani di Vangelo per aiutare a riflettere sul senso del giorno di festa.
Perché non una catechesi frontale?
È un’idea nata con don Maurizio. Ci è sembrato che, senza nulla togliere all’edificazione di una catechesi, la forma recitativa potesse essere uno strumento più efficace per veicolare quegli stessi contenuti. In fondo i brani letterari sono tante piccole testimonianze scritte in una forma esteticamente bella, come se gli autori ripresi fossero stati interpellati a parlare personalmente di cosa è secondo loro la festa.
Quali testi avete scelto per la serata?
Abbiamo spaziato dal Signore degli anelli di Tolkien al Sabato del villaggio di Leopardi, dal Pinocchio di Collodi ai Promessi sposi di Manzoni, fino al racconto evangelico delle nozze di Cana. Brani che, pur molto lontani l’uno dall’altro per genere letterario, tempo e geografia di scrittura, ruotano o accennano al tema della festa, vissuta e concepita in diverse forme: dal sentimento dell’attesa della festa alla sua realizzazione. Ma soprattutto la festa come dono che Gesù ci fa nella Messa domenicale: una festa per il corpo e per l’anima.
Qual è stato il senso dello spettacolo?
Più che di uno spettacolo bisognerebbe parlare di recital. Sei lettori si sono alternati sui rispettivi leggii in una sorta di dialogo a più voci. I brani si sono susseguiti alternandosi a piccoli commenti e raccordi come fossero i lettori stessi che giudicano i testi letterari. L’idea venuta insieme a don Maurizio è stata quella di coinvolgere, più che attori professionisti, ragazzi che nei rispettivi oratori già hanno avuto esperienze teatrali. In perfetta sintonia con i ragazzi della loro età che li ascoltavano e che vivono la stessa esperienza di comunità. Utilizzare questa forma aveva lo scopo non solo di rendere più intensa la comprensione del tema da parte dell’ascoltatore, ma anche di creare nell’atto stesso una festa. In fondo il teatro è un luogo di festa: si va a teatro per fare un’esperienza diversa, bella e che, si spera, nutra lo spirito.
Da dove è arrivata l’idea di una «catechesi» di questo genere e per di più in un teatro?
Penso che se i contenuti sono virtuosi e la forma adeguata, il teatro sia una forma di catechesi esemplare. Nella mia piccola e personale esperienza mi capita spesso di trovare spettatori che mi ringraziano per aver dato loro l’occasione di immedesimarsi col fatto evangelico. Sarebbe bello se si riuscisse a mettere in scena un testo teatrale ancora oggi significativo riunendo insieme i giovani che negli oratori della diocesi già recitano, e poi farlo replicare negli ambienti oratoriani, e, perché no, nei luoghi di divertimento dei giovani d’oggi. È una sfida che cavalcherei volentieri e che prima o poi spero si realizzi.