Oggi Milano è di fronte a una sfida nuova: realizzare un modello di società plurale, capace di riconoscere a ciascuno il diritto pratico di realizzarsi senza rinunciare a quanto di positivo ha ereditato dalla propria cultura e religione
di don Alberto Vitali
responsabile Ufficio per la Pastorale dei Migranti
dell’Arcidiocesi di Milano
La nostra città porta scritta fin nel nome la propria vocazione: Milano, terra di mezzo. E davvero lungo i secoli non s’è mai negata a essere luogo di incontro, accoglienza e scambio culturale. Basterebbe pensare alle numerose congregazioni e confraternite sorte per dedicarsi all’assistenza e all’educazione, come pure agli illustri filantropi e intellettuali o alle variegate istituzioni civili, che col pensiero e l’intraprendenza hanno fissato punti di non ritorno nel progresso della civiltà.
Oggi Milano è di fronte a una sfida nuova e più alta: realizzare un modello di società plurale, capace di riconoscere a ciascuno il diritto pratico, non solo teorico, di realizzarsi in una trama di relazioni senza rinunciare a quanto di positivo ha ereditato dalla propria cultura e religione, ma nemmeno sacrificando quell’unità di fondo che costituisce l’anima di una città.
Certo la sfida è grande e tutt’altro che scontata; non a caso Papa Francesco, parlando alla Chiesa italiana ha detto che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca». La sfida consiste allora nell’essere protagonisti del cambiamento, costruttori di quel «meticciato» di civiltà spesso indicatoci dal nostro Arcivescovo Angelo Scola.
Un tema centrale anche nella prossima visita pastorale alle comunità migranti della Diocesi, perché se è vero che hanno in comune la stessa fede cattolica, questa non può che incarnarsi nelle diverse tradizioni e culture.