Si sono presi il gusto di contarli: in vent’anni, festeggiati proprio un mese fa, le famiglie dell’Associazione Oikos (“casa”, in greco) hanno aperto le porte a 141 persone, provenienti da 35 Paesi del mondo. Mettendo insieme le accoglienze durate pochi giorni o settimane e quelle più lunghe, hanno contato 56 mila giorni di accoglienza. Numeri fuori scala, che sono però il risultato di una scelta di semplicità, per quanto eccezionale.
Lo spiega Davide Boniardi, vicepresidente dell’associazione: «Insieme alle altre famiglie che con noi si sono messe a disposizione, abbiamo capito fin da subito che l’idea era vivere l’accoglienza in una dimensione di normalità. Ogni famiglia ha una stanza che mette a disposizione, e l’ospitalità è vissuta senza stravolgere i ritmi della famiglia stessa». È così per i tre giovani (un filippino, un etiope e un pakistano) attualmente ospitati dalle famiglie presso la Cascina Baraggia, la grande casa a ferro di cavallo non distante dalla stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni e dalla parrocchia di San Carlo, che ha visto passare gli ospiti e crescere le famiglie. Ci sono poi altri spazi a completare l’ospitalità: nell’appartamento di Casa Elena vive ora una famiglia peruviana, mentre in un monolocale vive, ormai in autonomia, una donna di 50 anni, la più anziana delle persone accolte.
Il lascito
Tutto iniziò con il lascito di Cascina Baraggia, che monsignor Delpini visiterà nella sua ultima tappa a Sesto, domenica 15 dicembre. La donazione permise don Virginio Colmegna (che proprio in quegli anni avviava anche la Casa della Carità) di lanciare la proposta di accoglienza ad alcune famiglie che già si impegnavano nella rete di volontariato.
«Tra noi non ci conoscevamo – ricorda Boniardi -. Io e mia moglie rientravamo da un’esperienza missionaria con Caritas in America Latina, e desideravamo mettere a disposizione il nostro spazio, dopo essere stati accolti in giro per il mondo. E c’era chi aveva maturato in altro modo la disponibilità ad accogliere». Così, per esempio, per la famiglia di Davide sono arrivati prima gli ospiti e poi i figli. E gli ospiti che passano dalla cascina – «accogliamo ciascuno con un progetto personalizzato, per un periodo di sei mesi, che può allungarsi in base alle necessità» – sono diventati per i figli prima compagni di giochi e poi, nell’adolescenza, qualcuno con cui confrontarsi.
Cambiano anche le famiglie: «Con mia moglie abbiamo terminato l’accoglienza nel 2019, sentendo di avere altre esigenze, e di non avere più le stesse energie di prima – chiarisce Boniardi -. Anche una dimensione di normalità prevede sempre dei passaggi: all’inizio c’è sempre un periodo per conoscersi, per scoprire come la persona può “entrare” nella famiglia». Ed essere ospiti – evidenzia – non è sempre facile o scontato neanche per chi viene accolto: «Penso a due donne del Kenya e della Repubblica del Congo, in Italia come rifugiate, una con la famiglia sterminata, l’altra con il marito ucciso e che aveva lasciato nel suo Paese la figlia, insieme alla “famiglia allargata” dei nonni».
Naturalmente, però, ciascuno porta con sé molto di più del proprio bisogno. E così tra momenti di festa, pranzi, incontri aperti alla parrocchia e al quartiere, gli ospiti possono tornare a mettere in gioco le proprie potenzialità e le proprie risorse, riprendendo così un percorso che li porta a camminare da soli.