Per molti anni si è parlato di “fine delle ideologie” senza ben conoscere il senso di questa espressione. Le ideologie – mediocri, brutte, devastanti, talvolta comprensibili, ma mai belle – svolsero per tanti anni una funzione fondamentale: quella di fornire un contenuto ideale capace di supportare una macchina, quella dell’organizzazione amministrativa e sociale della comunità umana, che di per sé non era in grado di dare un senso all’agire umano. Eliot ricordava che «i mille vigili che dirigono il traffico non possono dirti da dove vieni e dove devi andare».
I paladini dell’ideologia, per quanto brutti, per quanto portatori di un’idea deturpata dell’umanità, sapevano però una cosa: che l’organizzazione, il sistema da solo non può salvare l’uomo, che la città terrena non può offrire un senso se non palliativo (la ricchezza, la celebrità, la vittoria), e che questo senso sostitutivo sarà in ogni caso a vantaggio di pochi. A questi uomini, realisti perché coscienti dell’insufficienza di tutte le organizzazioni, l’ideologia – che fornisce il modello per la costruzione di una società utopica più buona e più giusta di quella presente – fungeva da supporto ideale: i tempi sono duri, compagni (o camerati, e così via), ma la strada è segnata, eccetera eccetera.
Il tramonto di queste utopie, unitamente alla crescita della tecnologia in tutti i settori (dalla comunicazione all’architettura fino alla medicina e alla chirurgia), ha generato in realtà altre utopie: quella, per esempio, di poter essere liberati, grazie alla tecnologia, del dolore e perfino della morte; oppure quella di poter finalmente veder nascere la Società Perfetta, dove “senso” e “organizzazione” siano finalmente due sinonimi. Era, in fondo, il sogno degli Imperatori romani (faccio notare che Caligola nominò senatore il proprio cavallo non in un’epoca di decadenza, ma al culmine della civiltà romana: come dire che nella perfezione dell’Impero la funzione personale è così insignificante che anche un cavallo può fare il senatore).
L’uomo, però, è fatto di un’altra pasta, e ai profeti della Società Perfetta risponde cercando altrove il senso della propria vita. Io non credo che il desiderio dell’uomo, e che muove tante persone a frequentare le scuole bibliche, sia soltanto un “desiderio di Bibbia”: credo che si tratti del desiderio del Dio Vivente, e che la Bibbia sia cercata non tanto per la saggezza che può contenere – e che è sempre, in quanto umana, ultimamente triste – ma per la Presenza che l’ha suscitata, e che non può essere soltanto un ricordo del passato.
Mi ha colpito un’inchiesta, pubblicata alcuni mesi fa, secondo la quale i popoli più soddisfatti della propria vita non sono quelli che vivono nei Paesi ricchi, ma al contrario alcuni popoli dell’Africa nera. L’uomo non cerca la ricchezza, e nemmeno il successo mondano. L’uomo cerca qualcosa che lo faccia vivere qui e ora, che lo butti giù dal letto tutte le mattine col sorriso, anche se piove, anche se il datore di lavoro è antipatico o i bambini hanno la febbre.
«Di che vivono gli uomini?» si domandava Tolstoj nella celebre novella. Proprio qui sta il punto: le persone cercano quello che le fa vivere. La Bibbia valorizza la saggezza e l’intelligenza umane, ma ci racconta una storia che va oltre: la storia di una straordinaria Presenza, che si è fatta Libro per farsi popolo, per dare al popolo «la conoscenza della salvezza (ossia del Senso)», per farsi Essa stessa carne, per morire e risorgere. Questo cerchiamo: una parola scesa dal cielo ma radicata nella terra, capace di dirci: «Tu non morirai» con argomenti così umani, come solo Dio può fare.
Per molti anni si è parlato di “fine delle ideologie” senza ben conoscere il senso di questa espressione. Le ideologie – mediocri, brutte, devastanti, talvolta comprensibili, ma mai belle – svolsero per tanti anni una funzione fondamentale: quella di fornire un contenuto ideale capace di supportare una macchina, quella dell’organizzazione amministrativa e sociale della comunità umana, che di per sé non era in grado di dare un senso all’agire umano. Eliot ricordava che «i mille vigili che dirigono il traffico non possono dirti da dove vieni e dove devi andare».I paladini dell’ideologia, per quanto brutti, per quanto portatori di un’idea deturpata dell’umanità, sapevano però una cosa: che l’organizzazione, il sistema da solo non può salvare l’uomo, che la città terrena non può offrire un senso se non palliativo (la ricchezza, la celebrità, la vittoria), e che questo senso sostitutivo sarà in ogni caso a vantaggio di pochi. A questi uomini, realisti perché coscienti dell’insufficienza di tutte le organizzazioni, l’ideologia – che fornisce il modello per la costruzione di una società utopica più buona e più giusta di quella presente – fungeva da supporto ideale: i tempi sono duri, compagni (o camerati, e così via), ma la strada è segnata, eccetera eccetera.Il tramonto di queste utopie, unitamente alla crescita della tecnologia in tutti i settori (dalla comunicazione all’architettura fino alla medicina e alla chirurgia), ha generato in realtà altre utopie: quella, per esempio, di poter essere liberati, grazie alla tecnologia, del dolore e perfino della morte; oppure quella di poter finalmente veder nascere la Società Perfetta, dove “senso” e “organizzazione” siano finalmente due sinonimi. Era, in fondo, il sogno degli Imperatori romani (faccio notare che Caligola nominò senatore il proprio cavallo non in un’epoca di decadenza, ma al culmine della civiltà romana: come dire che nella perfezione dell’Impero la funzione personale è così insignificante che anche un cavallo può fare il senatore).L’uomo, però, è fatto di un’altra pasta, e ai profeti della Società Perfetta risponde cercando altrove il senso della propria vita. Io non credo che il desiderio dell’uomo, e che muove tante persone a frequentare le scuole bibliche, sia soltanto un “desiderio di Bibbia”: credo che si tratti del desiderio del Dio Vivente, e che la Bibbia sia cercata non tanto per la saggezza che può contenere – e che è sempre, in quanto umana, ultimamente triste – ma per la Presenza che l’ha suscitata, e che non può essere soltanto un ricordo del passato.Mi ha colpito un’inchiesta, pubblicata alcuni mesi fa, secondo la quale i popoli più soddisfatti della propria vita non sono quelli che vivono nei Paesi ricchi, ma al contrario alcuni popoli dell’Africa nera. L’uomo non cerca la ricchezza, e nemmeno il successo mondano. L’uomo cerca qualcosa che lo faccia vivere qui e ora, che lo butti giù dal letto tutte le mattine col sorriso, anche se piove, anche se il datore di lavoro è antipatico o i bambini hanno la febbre.«Di che vivono gli uomini?» si domandava Tolstoj nella celebre novella. Proprio qui sta il punto: le persone cercano quello che le fa vivere. La Bibbia valorizza la saggezza e l’intelligenza umane, ma ci racconta una storia che va oltre: la storia di una straordinaria Presenza, che si è fatta Libro per farsi popolo, per dare al popolo «la conoscenza della salvezza (ossia del Senso)», per farsi Essa stessa carne, per morire e risorgere. Questo cerchiamo: una parola scesa dal cielo ma radicata nella terra, capace di dirci: «Tu non morirai» con argomenti così umani, come solo Dio può fare.
La riflessione
Parola scesa dal cielo, ma radicata nella terra
Cosa spinge tante persone a frequentare scuole di lettura della Bibbia? La ricerca di qualcuno che sappia dire: «Tu non morirai» con argomenti così umani, come solo Dio può fare
di Luca DONINELLI scrittore Redazione
21 Settembre 2010Luca Doninelli