«Dobbiamo fare di tutto per conoscere sempre meglio la figura di Gesù, per avere di lui una conoscenza non “di seconda mano”, ma una conoscenza attraverso l’incontro nella preghiera, nella liturgia, nell’amore per il prossimo». Con queste parole di Benedetto XVI si concludeva l’ultima visita ad limina Apostolorum a Roma dei Vescovi lombardi. Di qui l’idea dei Pastori delle Chiese lombarde di scrivere una lettera alle diocesi dal titolo La sfida della fede: il primo annuncio, pensando anche ai “nuovi venuti”, dice monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo delegato della Cel per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
Che cosa si intende per “primo annuncio”?
Il primo annuncio non va inteso secondo un’interpretazione solo dottrinale e neppure in senso cronologico, come se dovessero seguirne altri. È invece il cuore dell’annuncio cristiano, che riguarda anche coloro che hanno già una fede che ritengono adulta. L’importante è tornare sempre alla sorgente, all’origine, per rinnovarne la giovinezza, la fecondità, la freschezza della fede. Il primo annuncio si riferisce quindi al primo incontro con Cristo e non può prescindere dalle conseguenze della vita morale, liturgica, missionaria…
Nella società di oggi, segnata da «una cultura consumistica ed edonistica», dal «secolarismo» e dall’«individualismo», come diceva il Papa, c’è ancora spazio per annunciare la fede?
La scelta che noi abbiamo fatto come Vescovi lombardi non è stata quella di porre le domande fondamentali della vita umana, alle quali dare la risposta cristiana. Abbiamo invece immaginato che questo primo annuncio potesse attecchire in tutti quei momenti di svolta della vita quotidiana delle persone. La vita infatti vale più di ciò che noi misuriamo, calcoliamo e produciamo in questa società consumistica e secolarizzata.
E quali sono questi momenti?
Noi ne abbiamo scelti cinque: la nascita di un bimbo, il cammino dell’adolescenza e la scelta nella giovinezza, l’amore di un uomo e una donna, la fedeltà alla famiglia e alla professione, l’esperienza del dolore e della fragilità. È necessario che la parola cristiana dica qualcosa all’alfabeto della vita umana. Ora chiediamo ai catechisti, agli operatori pastorali, ai sacerdoti, ai ministri del Vangelo, agli operatori sociali di imparare anche loro a dire la parola cristiana dentro la vita quotidiana (nel volontariato, nella vita comunitaria, nella professione…). L’importante è partire non dalle domande, ma dalle esperienze antropologiche, perché sono le soglie di accesso alla fede offerte a tutti.
Perché i Vescovi lombardi considerano fondamentale il recupero dell’identità personale?
Nella società consumistica piena di beni, ma povera di significati, la grande sfida per tutti, credenti e non credenti, è la costruzione dell’identità personale che non è data a monte di un cammino, ma cresce attraverso le molte relazioni. Ogni età della vita ha una sua grazia che anticipa quella che segue, diceva Romano Guardini. Nel rapporto tra il dono promesso e il suo pieno compimento sta l’identità che apre le soglie di accesso alla fede.
Nella lettera dei Vescovi si parla anche dei “novizi” della fede e della Chiesa. Chi sono?
Coloro che accedono alla soglia della fede non pongono domande nella stessa maniera, per questo abbiamo descritto tre situazioni: quella di chi non è ancora battezzato (i catecumeni) e il cui numero sta iniziando a lievitare. L’Italia sembra un ponte naturalmente gettato nel Mediterraneo, quindi ci saranno molte domande non solo di ricerca di lavoro e sistemazione familiare, ma anche di ricerca spirituale: a questi “nuovi venuti” bisognerà offrire un vero ingresso alla fede. Ci sono poi due categorie di persone che hanno ricevuto i sacramenti, ma sono rimasti a una forma quasi infantile del sacramento, perché la vita li ha portati lontano. Per loro (i convertiti) l’esperienza della fede ha prevalentemente un tratto pedagogico: serve per diventare grandi, ma non per vivere da grandi. Alla terza categoria (i ricomincianti) appartengono quelli che hanno ricevuto il battesimo, ma questo è rimasto sulla carta. A loro manca anche la lingua cristiana infantile, la lingua della memoria, per questo hanno bisogno di una vera rifondazione della fede e di ritrovare un linguaggio adulto.
A questo punto qual è il compito delle Chiese lombarde?
La domande alle nostre comunità è se hanno veramente spazi accoglienti che tengono conto delle nuove situazioni di accesso alla fede. Ai nuovi venuti non dobbiamo presentare subito una forma di annuncio, una vita comunitaria, liturgica e di carità così compatta da intimorirli. La lettera parla invece di spazi di ascolto, luoghi riservati che costituiscono una soglia di passaggio. Come non si entra subito in chiesa, ma c’è il pronao (passaggio tra il profano, il sacro e il santo) così deve essere anche nella vita cristiana. Le comunità non dovranno più pensare a un annuncio monolitico, ma differenziato, attento soprattutto alle diverse situazioni di partenza delle persone. «Dobbiamo fare di tutto per conoscere sempre meglio la figura di Gesù, per avere di lui una conoscenza non “di seconda mano”, ma una conoscenza attraverso l’incontro nella preghiera, nella liturgia, nell’amore per il prossimo». Con queste parole di Benedetto XVI si concludeva l’ultima visita ad limina Apostolorum a Roma dei Vescovi lombardi. Di qui l’idea dei Pastori delle Chiese lombarde di scrivere una lettera alle diocesi dal titolo La sfida della fede: il primo annuncio, pensando anche ai “nuovi venuti”, dice monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo delegato della Cel per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.Che cosa si intende per “primo annuncio”?Il primo annuncio non va inteso secondo un’interpretazione solo dottrinale e neppure in senso cronologico, come se dovessero seguirne altri. È invece il cuore dell’annuncio cristiano, che riguarda anche coloro che hanno già una fede che ritengono adulta. L’importante è tornare sempre alla sorgente, all’origine, per rinnovarne la giovinezza, la fecondità, la freschezza della fede. Il primo annuncio si riferisce quindi al primo incontro con Cristo e non può prescindere dalle conseguenze della vita morale, liturgica, missionaria…Nella società di oggi, segnata da «una cultura consumistica ed edonistica», dal «secolarismo» e dall’«individualismo», come diceva il Papa, c’è ancora spazio per annunciare la fede?La scelta che noi abbiamo fatto come Vescovi lombardi non è stata quella di porre le domande fondamentali della vita umana, alle quali dare la risposta cristiana. Abbiamo invece immaginato che questo primo annuncio potesse attecchire in tutti quei momenti di svolta della vita quotidiana delle persone. La vita infatti vale più di ciò che noi misuriamo, calcoliamo e produciamo in questa società consumistica e secolarizzata.E quali sono questi momenti?Noi ne abbiamo scelti cinque: la nascita di un bimbo, il cammino dell’adolescenza e la scelta nella giovinezza, l’amore di un uomo e una donna, la fedeltà alla famiglia e alla professione, l’esperienza del dolore e della fragilità. È necessario che la parola cristiana dica qualcosa all’alfabeto della vita umana. Ora chiediamo ai catechisti, agli operatori pastorali, ai sacerdoti, ai ministri del Vangelo, agli operatori sociali di imparare anche loro a dire la parola cristiana dentro la vita quotidiana (nel volontariato, nella vita comunitaria, nella professione…). L’importante è partire non dalle domande, ma dalle esperienze antropologiche, perché sono le soglie di accesso alla fede offerte a tutti.Perché i Vescovi lombardi considerano fondamentale il recupero dell’identità personale?Nella società consumistica piena di beni, ma povera di significati, la grande sfida per tutti, credenti e non credenti, è la costruzione dell’identità personale che non è data a monte di un cammino, ma cresce attraverso le molte relazioni. Ogni età della vita ha una sua grazia che anticipa quella che segue, diceva Romano Guardini. Nel rapporto tra il dono promesso e il suo pieno compimento sta l’identità che apre le soglie di accesso alla fede.Nella lettera dei Vescovi si parla anche dei “novizi” della fede e della Chiesa. Chi sono?Coloro che accedono alla soglia della fede non pongono domande nella stessa maniera, per questo abbiamo descritto tre situazioni: quella di chi non è ancora battezzato (i catecumeni) e il cui numero sta iniziando a lievitare. L’Italia sembra un ponte naturalmente gettato nel Mediterraneo, quindi ci saranno molte domande non solo di ricerca di lavoro e sistemazione familiare, ma anche di ricerca spirituale: a questi “nuovi venuti” bisognerà offrire un vero ingresso alla fede. Ci sono poi due categorie di persone che hanno ricevuto i sacramenti, ma sono rimasti a una forma quasi infantile del sacramento, perché la vita li ha portati lontano. Per loro (i convertiti) l’esperienza della fede ha prevalentemente un tratto pedagogico: serve per diventare grandi, ma non per vivere da grandi. Alla terza categoria (i ricomincianti) appartengono quelli che hanno ricevuto il battesimo, ma questo è rimasto sulla carta. A loro manca anche la lingua cristiana infantile, la lingua della memoria, per questo hanno bisogno di una vera rifondazione della fede e di ritrovare un linguaggio adulto.A questo punto qual è il compito delle Chiese lombarde?La domande alle nostre comunità è se hanno veramente spazi accoglienti che tengono conto delle nuove situazioni di accesso alla fede. Ai nuovi venuti non dobbiamo presentare subito una forma di annuncio, una vita comunitaria, liturgica e di carità così compatta da intimorirli. La lettera parla invece di spazi di ascolto, luoghi riservati che costituiscono una soglia di passaggio. Come non si entra subito in chiesa, ma c’è il pronao (passaggio tra il profano, il sacro e il santo) così deve essere anche nella vita cristiana. Le comunità non dovranno più pensare a un annuncio monolitico, ma differenziato, attento soprattutto alle diverse situazioni di partenza delle persone. La scheda – Ci sono esperienze della vita che toccano pressoché tutti: l’inquietudine del crescere e decidere il proprio futuro, la forza dell’amore che conduce alla scelta di vivere insieme, la gioia per la nascita di un bimbo, la fatica del restare fedeli ai cammini intrapresi, l’angoscia della sofferenza. In queste e altre esperienze elementari è possibile l’incontro con Gesù di Nazaret, poiché il centro della fede non può che realizzarsi al cuore della vita. In un contesto sociale culturalmente pluralista e multireligioso, in cui la trasmissione dell’esperienza credente e della dottrina essenziale della fede non è più scontata, i Vescovi delle diocesi lombarde propongono una riflessione di largo respiro (La sfida della fede: il primo annuncio, 64 pagg, 1,70 euro) che culmina nell’invito a ogni cristiano e comunità a ripensare la propria missione di testimone del primo annuncio e, ancor prima, a lasciarsi continuamente sorprendere dal Vangelo di Gesù Cristo. – – Il "bisogno" delle famiglie – Una "bussola" per una nuova vita – Quando a vincere è l’amore