27/05/2008
di Luisa BOVE
Ultimi giorni di scuola per gli alunni di ogni ordine e grado, solo chi dovrà affrontare gli esami continuerà a studiare ancora per qualche settimana. A giugno si chiude anche l’esperienza degli oltre 160 doposcuola sparsi su tutto il territorio diocesano (una sessantina solo a Milano) legati alla Caritas Ambrosiana. Il panorama è molto vario: si va da realtà molto piccole avviate in parrocchia con 5 ragazzi e 2 volontari o doposcuola con 50 studenti e 30 operatori. In alcuni casi l’iniziativa, nata dalla sensibilità di pochi, si è poi trasformata in un servizio ampio e articolato attuato da un’associazione o cooperativa sociale, con tanto di figure professionali ad affiancare i volontari. «Esistono doposcuola in periferia, ma anche in centro», dice Giovanni Romano, responsabile del progetto Caritas. È sbagliato pensare che nel cuore di Milano «non ci siano problemi, perché quando si apre un servizio a favore di minori più fragili la frequenza è sempre alta».
Come sono organizzati i doposcuola?
C’è chi offre il servizio tutti i giorni e chi una o più volte alla settimana, ma l’intervento è più efficace quando è costante. La maggior parte dei doposcuola accoglie ragazzi delle medie e gli operatori lavorano anche in termini preventivi contro la dispersione scolastica. Ma i problemi più gravi emergono soprattutto nei primi due anni delle superiori, per questo sta aumentando l’offerta per sostenere anche i più grandi. Tutto dipende dalle risorse di tempo e di persone che le parrocchie o le associazioni riescono ad avere. Ora le realtà di volontariato iniziano ad acquisire competenze che derivano dal mondo professionale e a volte richiedono anche educatori e consulenti.
Ma i ragazzi non sono seguiti solo per i compiti…
Infatti. Il doposcuola è anche un’opportunità educativa e l’obiettivo specifico è aiutare i ragazzi nei percorsi di apprendimento. Come questo viene realizzato dipende dalle forze messe in campo. Tutti però partono dal sostegno nei compiti, anche se a volte è difficile incidere efficacemente sul recupero di tutte le lacune. Per questo si punta molto sulla relazione educativa come strumento per influire anche su altri fattori che riguardano l’apprendimento, la capacità di relazione, il confronto con gli altri, qualità che possono essere trasferite nella vita scolastica. Quindi oltre all’aiuto nei compiti, molti doposcuola propongono anche laboratori, giochi e diverse attività.
Questo lavoro permette di ridurre la dispersione scolastica e il disagio?
Certo, questo è anche lo scopo, ma da soli i doposcuola sono una goccia nel mare. Occorre mettersi in rete con altri soggetti che lavorano con i ragazzi in diversi luoghi, innanzitutto la scuola, ma anche i centri di aggregazione, le società sportive e gli oratori. Se c’è una progettazione condivisa e l’intervento non è frammentato ma integrato, la prevenzione è più efficace.
Qual è la presenza di immigrati?
Il numero sta aumentando in modo esponenziale, con un dato curioso che rispecchia ciò che sta avvenendo anche altrove. A volte nei doposcuola ci sono solo ragazzi immigrati e questo non perché scompare il bisogno degli italiani. Ci sono comunque esperienze interessanti in cui il doposcuola diventa luogo di integrazione. Tuttavia la diversità culturale richiede a volte ai volontari un ulteriore sforzo, sia in termini di capacità relazionali, sia di competenze. Per questo c’è chi si sta attrezzando e frequenta corsi di intercultura o di insegnamento dell’italiano come seconda lingua.
A volte i ragazzi vivono situazioni familiari difficili che impediscono un buon rendimento scolastico…
Il dato comune a tutti i doposcuola è la difficoltà a coinvolgere le famiglie, che pure devono condividere la scelta di mandare il figlio al doposcuola. Questo avviene durante l’iscrizione attraverso uno strumento del quale tutti si stanno dotando, cioè la firma di un Patto educativo (o almeno l’accettazione verbale, ndr). La capacità di coinvolgere la famiglia dipende anche dall’approccio che il volontario riesce ad avere. In fondo il doposcuola offre la possibilità di relazionarsi con i genitori in modo diverso rispetto alla scuola. Non è l’ennesimo soggetto che giudica l’incapacità di un ragazzo come conseguenza di un’inadeguatezza dei genitori, piuttosto il doposcuola considera la famiglia una risorsa.