“Lavorare stanca”, titolava Cesare Pavese nel 1936 pubblicando una raccolta di poesie. Oggi è vero il contrario. La fatica maggiore è inviare curriculum e non ricevere risposte. È non capire quale sia il proprio ruolo nella società quando si è licenziati e non si trova una nuova occupazione. Stanca non lavorare.
Lo sottolinea don Walter Magnoni, membro dell’ufficio diocesano per la pastorale sociale, introducendo la veglia per il lavoro 2014 dal titolo “Non lavorare stanca”. La sede è un luogo emblematico: l’ingresso della stazione centrale di Milano.
La stazione è un microcosmo che non si ferma neanche per la veglia. Mentre sul palco allestito per l’occasione si alternano testimonianze e preghiera, appena pochi metri più in là gli schermi pubblicitari continuano a lampeggiare, promuovendo incessanti vestiti e telefonini. I treni partono e arrivano, i rumori nitidi che si sentono dall’assemblea testimoniano che diverse persone stanno lavorando anche a tarda sera per permettere ai passeggeri di raggiungere le loro destinazioni. Decine di turisti, o pendolari, quasi tutti con un trolley al seguito, sfilano guardando incuriositi il palco che ospita il cardinale Angelo Scola. Qualcuno si ferma pure per qualche minuto, prima di affrettarsi nuovamente in direzione dei binari.
«Ci troviamo in un luogo – rileva l’Arcivescovo di Milano – in cui di solito si passa di corsa». Stasera invece siamo chiamati, prosegue, «a soffermarci per risvegliare la tensione verso la verità di noi stessi e ad aprire il nostro cuore a coloro che sono in difficoltà in una dimensione costitutiva del proprio io: la mancanza del lavoro». Persone verso le quali «dobbiamo porci in condizione di ascolto: non è difficile comprendere il dramma e la tragedia di chi ha perso il lavoro».
Sembra una situazione simile a quella descritta nel Vangelo: i discepoli pescano tutta notte invano. «Si danno da fare per tutta la notte – nota l’Arcivescovo -. Succede a tanti di pensare “ho fatto tutto ciò che dovevo, perché sono ancora in difficoltà?”». La delusione di non trovare risposta trascina nel baratro diversi ambiti della vita, aggiunge: «La mancanza del lavoro è come un imponente masso che si stacca dalla montagna mettendo in moto tutta la frana che precipita a valle. L’io si sgretola e spesso nel crollo trascina tutto». Ma anche grazie a «una rete fraterna di rapporti» è possibile rilevare che «piccoli germogli verdi stanno già spuntando. La ripresa della propria vita dopo la difficoltà è possibile».
Ma siccome «la precarietà è ancora tanta e i problemi causati dalla crisi sono complessi», è indispensabile secondo Scola «vigilare contro un nuovo tipo di individualismo liberal narcisista e libertario, nel quale sembra avere importanza solo il sentirsi bene in superficie, senza alcun nesso con il bene e con il male». La conclusione dell’intervento del cardinale è un inno di speranza: «Portiamo a casa i germi di novità che si possono cogliere dentro una realtà affaticata, ma sostenuta dalla provvidenza generatrice di speranza che rende la nostra vita piena di futuro. Seminiamo nella precarietà una speranza per noi e per tutti».
È ciò che stanno tentando di fare diverse parrocchie e associazioni sul territorio diocesano, con iniziative a sostegno dell’occupazione. Alcune di queste hanno diviso il palco con Scola per portare ai presenti testimonianze di progetti possibili.
È il caso dell’Alveare di Santa Maria Annunciata in chiesa Rossa, che offre lavori di utilità sociale, pagati, affinché chi si trova nel bisogno non sia solo destinatario di denaro, ma soggetto attivo. Oppure “Un ponte per Sesto San Giovanni”, che affianca corsi di formazione a concerti per sensibilizzare sulla dipendenza dal gioco d’azzardo, convinto che «nello sbando dell’economia mondiale non basta affidarsi alle risposte dei tecnici, ma servono anche le lezioni dei maestri di umanità». “Rete manager” invece pensa a chi, passati i 40 anni e con una qualifica professionale alta, fatica a trovare un impiego al proprio livello e deve reinventarsi in posizioni inferiori. “Mind”, di Desio, cerca di favorire il fare impresa per creare lavoro. «Siamo riusciti – assicurano i responsabili – a portare al centro del dibattito la persona e la sua domanda di senso, oltre che ottenere una coesione sociale di cui tutti sentivamo la necessità». A Cinisello invece gli attori sono la parrocchia, le associazioni, il Comune. “La comunità al lavoro”. Hanno fatto rete per offrire, grazie alle cooperative sociali, contratti di 6 mesi a persone con figli minori a carico. «Tre ambiti si sono rivelati indispensabili – raccontano -: la formazione, il contatto con gli imprenditori locali e l’incontro con persone diverse tra loro, che attraverso il dialogo (ad esempio tra Caritas e Acli) hanno saputo trovare modalità di azione nuove e condivise».
Diverse iniziative, diverse sensibilità, ma tutte quante in qualche modo pervase dallo spirito della seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro, cui anche il cardinale Angelo Scola ha dedicato un pensiero conclusivo: «Continuiamo a promuovere il microcredito e la formazione, coinvolgiamo diversi ambiti della società civile con coraggio, pieni di speranza».