«Con la modernità» si è andata configurando «la separazione tra salute e salvezza e ha preso peso la considerazione della cura come puro atto clinico, a scapito dell’arte terapeutica in essa implicata». Lo ha detto il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e presidente dell’Istituto Toniolo di Studi superiori, nella lezione tenuta ieri a Roma in occasione all’apertura della “Villetta della Misericordia”, centro d’accoglienza per senza dimora nel campus dell’Università cattolica realizzato dall’Ateneo, dall’Istituto Toniolo, dalla Fondazione Policlinico A. Gemelli e dalla Comunità di Sant’Egidio.
Il Cardinale ha riflettuto su “Salute, arte terapeutica e crisi finanziaria”. «Mentre in altri settori dell’umana convivenza il criterio economico dell’utilizzo del minimo di risorse per rispondere al maggior numero di bisogni può essere quasi sempre applicato – ha osservato Scola – in quello della salute» esso, «di per sé solo, risulta inadeguato e può addirittura diventare nocivo».
«Il dato dell’esperienza è lì a dimostrare l’obiettiva difficoltà ad attenersi a questa valutazione puramente tecnico-economica» che rischia di sottomettere «la salute all’economia». Di qui l’interrogativo: «Come superare, allora, questa aporia che oggi sembra caratterizzare l’organizzazione della sanità a livello globale? Come salvare il bisogno integrale di salute espressione di quella di salvezza senza cadere in titanismi utopici, ma anche senza portare offese intrinsecamente lesive della dignità di ogni singolo essere umano dal concepimento alla morte?».
Ecco allora l’esortazione: occorre reintrodurre «il soggetto nel mondo della sanità e in quello dell’economia». «Forse – ha osservato – il vizio di origine comune sia alla medicina che all’economia» consiste «nel fatto che entrambe – economia e medicina – partecipano di quella singolare operazione propria delle scienze empiriche moderne di essersi costituite sull’esclusione del soggetto». In nome di «una impossibile oggettività anche medicina ed economia hanno preteso di lasciare in secondo piano fino ad abolire nella loro azione il soggetto, sia come persona che come comunità ai suoi vari livelli (da quello primario della famiglia alle forme più elementari di comunità civile, dall’ambito delle comunità nazionali fino alle organizzazioni mondiali)».
«Alle istituzioni segnate da una presenza ben identificata del soggetto, capace di mantenere al mondo della cura la pregnanza salvifica della domanda di salute», ha precisato Scola, «si sono sempre più sostituite aziende il cui compito è ridotto a pura programmazione, controllo e verifica di gestione della serie di atti clinici in esse praticati». Di qui «un unico irrinunciabile imperativo: reintrodurre con energia nel mondo della sanità come in quello dell’economia e, più in generale, in tutti gli ambiti in cui si svolge l’umana vicenda, il soggetto (personale e comunitario)».