Un segno di pace grande quanto la piazza in cui gli adolescenti, provenienti da ogni parte della Chiesa ambrosiana, si stringono, seduti per terra, in piedi, ammassati in più file ai margini della spaziosa area su cui domina un bel cielo azzurro e la severa, antica Collegiata prepositurale di San Vittore, oggi parrocchia vivacissima. A Rho, infatti, sono migliaia gli “Ado” che si ritrovano, con educatori, sacerdoti e religiose, genitori, per il loro incontro diocesano con l’Arcivescovo che, appunto, invita in apertura a stringersi tutti la mano in segno di pace e di fraternità, dopo essere stato accolto dalla musica dei Pink Floyd e da un entusiasmo a cui solo i giovani e i giovanissimi sanno dare voce. Un incontro che, nel titolo, curioso e insieme accattivante, “Andrhò”, allude al luogo scelto, ma anche ai tanti cammini che aspettano questi ragazzi nel campo che è il mondo. Accanto al Cardibnale, il vicario episcopale per la Pastorale giovanile, don Pierantonio Tremolada, il responsabile per il Servizio Adolescenti Ragazzi e Oratorio, don Samuele Marelli, il prevosto di Rho, don Giuseppe Vegezzi.
Infatti, nel pomeriggio, i ragazzi hanno ascoltato le testimonianze di diverse realtà e, ora, tutti insieme, raccontano sinteticamente nell’animazione davanti al Cardinale, i campi del buon grano, secondo la logica del percorso pastorale 2013-2014, in cui anche questo momento si inserisce.
E si parla, allora, attraverso cinque interventi, di relazioni, raccontate con un immaginario dialogo in chat, di scuola – “la scuola deve promuovere lo sviluppo personale di ciascuno”, noterà dopo poco, nel suo intervento, l’Arcivescovo – , di sport, “che è molto più di un gioco”; di città, ed è bello sentir dire, “forza ragazzi, la politica ha bisogno di voi”, alla presenza delle autorità civili e militari che siedono in prima fila, tra cui il sindaco di Rho, Pietro Romano.
Anche la Chiesa entra nel dialogo, la ”Chiesa che siamo noi, una realtà vivente fatta di quella fede al servizio di Gesù che, tuttavia, oggi non è affatto semplice esprimere”.
Poi, è la “zizzania” ad invadere la piazza, con l’angoscia, richiamata ancora dal dialogo proposto, del lavoro che non c’è, delle guerre e guerriglie che devastano il mondo, della situazione di tante famiglie nelle nostre terre. E qui si comprende per intero quanto offrire “buona testimonianza” sia fondamentale per questi ragazzi e il loro futuro.
Il passaggio della croce, l’Adorazione – che vede quasi tutti inginocchiarsi così come fa, a lungo, l’Arcivescovo –, il brano evangelico di Luca al capitolo 10 e la preghiera davanti al Crocifisso di Paolo VI, precedono l’intervento del Cardinale.
Ponetevi, poniamoci tutti – dice subito – quella domanda “E io?” “che, da sola, racchiude tutto l’itinerario di oggi e della vita intera e che significa come mi gioco nella realtà di tutti i giorni, nello studio, nel lavoro, nell’edificazione della città. Se ognuno di noi fosse qui ignorando questa domanda avrebbe buttato via il suo tempo”.
Perché è precisamente questo – suggerisce l’Arcivescovo– l’interrogativo che muove al mutamento del cuore e dei comportamenti: «nella vita nessun cambiamento è possibile se non a due condizioni, che sia prima personale e, poi, comunitario, nella Chiesa e nella società, e che sia ‘qui e ora’».
La forza per farlo viene dal Vangelo, come nella pagina di Luca appena letta, con quei due verbi che descrivono la chiamata e la missione dei settantadue discepoli: “li designò” e “li inviò”.
«Questo vale ancora oggi per noi. Cari ragazzi, non basta un emoticon – nota il Cardinale, facendo riferimento alla testimonianza sulle relazioni –, bisogna esporsi attraverso un pensiero consapevole e responsabile. Lo sviluppo integrale non può essere un gesto isolato e perché questo cambiamento che coinvolge l’io sia tale, ha bisogno di una compagnia».
Il pensiero va alla testimonianza sullo sport e allo spirito di squadra. «Ricordatevi che l’ideologia si è sempre servita della frattura tra la persona e la comunità, tra la persona e la società», incrementando da una parte l’individuazione e lo scetticismo e, dall’altra, sottraendo alla persona stessa la responsabilità. «È facile condannare la politica, soprattutto in un tempo di grande fatica come il nostro, ma occorre mettere in moto la libertà, lasciandoci cambiare nella normalità della vita di tutti i giorni. Così si comunica la vita bella, buona, vera che la fede ci sta concedendo».
Infine il monito, rivolto guardando quasi a uno a no negli occhi gli adolescenti: «Amico, non puoi andare via di qui senza chiedere di cambiare se vivi un affetto sbagliato, se vivi male la scuola, se vivi il riposo solo come evasione, se ignori il dolore altrui, se non vivi una solidarietà fraterna, se non perseguì la costruzione della giustizia e la passione per chi è nel bisogno».
«Stampate nel cuore la frase centrale della splendida preghiera di Paolo VI, “O Cristo, tu mi sei necessario”. Solo in Lui abbiamo la possibilità di cambiare, perché con le nostre sole forze non possiamo farcela. Ecco il valore della Settimana santa, del trentesimo anniversario della consegna della croce da parte di Giovanni Paolo II, da cui iniziarono le GMG e della Ventinovesima Giornata Mondiale della Gioventù che viviamo in Diocesi».
E, prima dell’affidamento a Maria Santissima, c’è ancora tempo per un ultimo richiamo affettuoso in quelle parole che suonano paterne: «Ragazzi, non vi è nulla cui non si possa porre rimedio, non perdetevi in fantasiose evasioni, nella droga, nell’alcol, non perdete la strada, buttandovi via nel corpo fino, talvolta, a porre fine alla vita, non lasciatevi andare a sbagli terribili».
Che «stasera tu non spenga la luce senza dire un Ave Maria e un Gloria, ripetendo questa brevissima preghiera che si può fare anche a scuola, sul metrò, quando vai a mangiare la pizza, “Gesù tu ti mi sei necessario, perché io voglio vivere e non sopravvivere”. Così vivete bene la Settimana santa».
Un ciao e mille foto con i telefonini – a cui il Cardinale si concede di buon grado e sempre con il sorriso – chiudono un incontro che non si dimentica.