Fausto Gianfranceschi, Enzo Erra, Giano Accame, Primo Siena, Piero Buscaroli: pesco a caso cinque nomi tra i ventidue che compongono l’indice di un libro davvero prezioso. S’intitola «I figli del sole. Storia di un pensiero eclissato» e lo hanno realizzato, per Novantico Editrice (280 pagine, 22 €), due infaticabili «archivisti» e studiosi della recente storia d’Italia, Piero Vassallo e Sergio Pessot. «Uno straordinario percorso culturale», spiega ancora la copertina del libro, «tra suggestioni evoliane e richiami alla tradizione cattolica». Come scrive Ernesto Zucconi nella prefazione, è la storia di una élite di giovani e giovanissimi nati nell’Italia di Mussolini, i quali, nell’immediato dopoguerra, non accorsero ad ingrossare le file del redditizio antifascismo (e ciò spiega il silenzio su essi calato), e neppure si cullarono all’onda di sterili rimpianti, ma diedero avvio ad una lunga stagione di articolati dibattiti a tutto campo, rivelando solide basi culturali e una maturità di pensiero che, in considerazione della loro verde età (molti non erano neppure maggiorenni), non può che lasciare stupefatti.
La corrente giovanile dei «figli del sole» si era formata nel 1949 su iniziativa di Enzo Erra, mancato l’anno scorso all’età di 84 anni. Erra si era arruolato, ancora adolescente, nella RSI. Altri, come Giano Accame, non avevano fatto in tempo. Giano, infatti, si era presentato, quindicenne, il 25 aprile 1945: troppo tardi. Provati dalla sconfitta, e più ancora dalla ferocia dei vincitori che non rispettavano alcuna regola di guerra, ma ammazzavano i perdenti, quei giovani si trovarono ad affrontare la realtà politica dei partiti resuscitati dopo la ventennale emarginazione attuata dal fascismo, e la affrontarono con onestà e lealtà, al punto da trovarsi non di rado in polemica con la dirigenza del Movimento Sociale Italiano, il partito sicuramente più vicino ai loro ideali. Ciò che li ispirava non era certo la dottrina del fascismo, esperienza conclusasi catastroficamente, ma uno sconfinato amore per la patria italiana umiliata dai compromessi e dalle rinunce del governo del Sud e dalla sadica ferocia dei bombardamenti anglo-americani, che avevano mietuto 75 mila vittime civili. Per non parlare dei fascisti «giustiziati», anzi sbrigativamente assassinati, tra l’aprile 1945 e il giugno 1946: più di 35 mila. Tra questi – ricordano gli Autori – la dodicenne Giuseppina Ghersi, studentessa di seconda media di Savona, rea di avere lodato Mussolini in un tema in classe, e il seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso nel «triangolo della morte» perché rifiutava di gettare la tonaca.
Molti dei «figli del sole» si misero in luce collaborando ai settimanali che facevano opinione: da «L’Uomo Qualunque», fondato e diretto dal commediografo antifascista Guglielmo Giannini; a «Rosso e Nero» di Alberto Giovannini; a «La rivolta ideale» (dove teneva banco Julius Evola); al «Meridiano d’Italia», il coraggioso foglio fondato da Franco De Agazio, che verrà assassinato dalla «Volante Rossa» del PCI il 14 marzo 1947 perché cercava la verità sull’oro di Dongo e sulla catena di delitti che aveva fatto seguito al suo furto; per finire al celebre «Candido» di Giovannino Guareschi.
Palestre ideali per intelligenze che non potevano piegarsi alle logiche di potere dei partiti. La rottura con il MSI, già iniziata durante il congresso di Viareggio del 1954, si completò al congresso di Milano del 1956, dopo il quale i «figli del sole» abbandonarono la politica attiva e ripiegarono nello studio e nell’attività giornalistica.
Impossibile qui parlare di tutti i 22 elencati nel libro con le loro opere e i loro scritti più significativi. Ma voglio ricordarne alcuni. Per esempio Primo Siena, che, con Fausto Gianfranceschi ed Enzo Erra, contribuì alla formazione di una nuova generazione di militanti e intellettuali di destra. E, ancora, Franco Accame, cugino di Giano, anch’egli mancato due anni or sono, poeta, scrittore. Come ricordano gli Autori, le sue appassionate ricerche intorno al pensiero magico del Cinquecento e del seicento, i suoi approfonditi studi sulle scuole indiane e cinesi di metafisica, le sue riflessioni sui testi di San Bonaventura, il suo interesse per la politica di Clemente Solaro della Margarita e Francesco Faà di Bruno, testimoniano una vita interiore febbrile e inesauribile. Dalle future generazioni, Franco Accame sarà ricordato specialmente come magnifico autore di poesie politicamente scorrette, quali furono le composizioni nostalgiche raccolte nel commovente volume «Elegia», pubblicato dalla Effedieffe.
Impossibile poi omettere la forte personalità di Piero Buscaroli, legato a Giano Accame, sulla breccia fin da quando, appena ventiquattrenne, fondò e diresse «Il Reazionario» (in seguito diventerà direttore del quotidiano «Roma» di Napoli). Nel suo editoriale del primo numero si poteva leggere: «…diciamo reazione perché è tempo di guardare indietro, se per caso abbiamo lasciato alle spalle la via giusta, se per caso non abbiamo dimenticato all’indietro la nostra salvezza e la nostra vita».
Un anno dopo scriverà: «La democrazia non è libertà per tutti: è la libertà delle maggioranze, la libertà che la “metà più uno” ha di comandare sulle minoranze. Guardiamole, oggi, queste minoranze. Sono due: una è la minoranza comunista che sta diventando, giorno per giorno, maggioranza. L’altra minoranza è la nostra, la minoranza “reazionaria”, dispersa tra tanti partiti, fuori dai partiti, contro ni partiti, che, tutti, l’hanno delusa. E’ avvilita, ma forse non ancora piegata. E deve rassegnarsi una volta per tutte a non sperare di ottenere i 12 milioni di voti che occorrono per avere democraticamente il potere. Il potere è nuna cosa seria. Non si può aspettarlo in omaggio dalla plebe. Piuttosto che noi, la plebe preferirà sempre De Gasperi e Togliatti, che sono abbastanza bastardi e abietti per piacerle».
Per concludere, la prova più significativa delle capacità di preveggenza dei «figli del sole» – e al tempo stesso la vera ragione del loro allontanamento dalla politica politicante – sta in questo brano che uno di essi, il napoletano Angelo Ruggiero, scrisse su «Giovinezza d’Italia» nel lontano 1958:
«La Democrazia Cristiana pagherà pesantemente le sue colpe e non sarà più il “Deus ex machina” della politica italiana. Ci vorranno ancora decenni, forse, ma tutto ciò accadrà. Allora la costituzione italiana, nata quale compromesso tra le forze cattoliche (si fa per dire), comuniste, liberal-finanziarie e massoniche, non offrirà alcun aiuto per nuove soluzioni. Tutto ciò aggravato dal fatto che favorisce partiti che, con la loro politica demagogica e clientelare, porteranno le casse dello Stato alla completa bancarotta. Anche quest’ultimo aspetto, secondo noi, si realizzerà, e in tal caso non ci sarà governo, di qualsiasi colore, che potrà porre riparo. (…) La nostra, quella italiana e quella di altri Paesi europei, è solo una democrazia elettorale, ove, dietro a un rito celebrativo, manca la possibilità che la tanto celebrata “volontà popolare” possa fare le sue scelte. In realtà sono i partiti politici, attraverso il “verbo” dei loro capi, e la loro burocrazia militarizzata, che determinano tutto».
Questo scriveva, 53 anni or sono, l’allora ventiduenne Angelo Ruggiero, oggi ancora sulla breccia in quanto presidente dell’Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante, e direttore della rivista cattolica «Tradizione». Un giudizio di straordinaria attualità – come scrive Ernesto Zucconi nella prefazione al volume – che dimostra come quella gioventù fosse veramente «illuminata». E, al tempo stesso, quale occasione abbia perduto, il nostro Paese, nel non giovarsi di quei talenti.