2Mac 6, 1-2. 18-28; Sal 140 (141); 2Cor 4, 17 – 5, 10; Mt 18, 1-10
«Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio. (2Mac 6,-28)
Eleàzaro si rifiuta di mangiare la carne suina, cioè di trasgredire la Legge. Egli non lo fa semplicemente perché vuole essere fedele alla legge del Signore, ma perché riconosce di avere una responsabilità nei confronti di chi è più giovane di lui: la sua fedeltà, costruita lungo tutta la vita, non può venir meno proprio adesso, perché anche altri potranno scoprire, tramite la sua azione, di quale tipo sia una vita veramente riuscita e feconda, anche se comporta la morte.
Rendere testimonianza non è un’azione a buon mercato, né fine a sé stessa. Ogni cristiano sa che le azioni compiute non hanno solo un effetto immediato, cioè la possibilità di scegliere ciò che è giusto e fa bene a coloro che sono prossimi, ma diventa un’occasione perché tutti possano ricevere la trasmissione della Buona Notizia, occasione perché ciascuno possa essere interpellato da quel comportamento e incontrare il Signore.
Preghiamo
Poni, Signore, una guardia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non piegare il mio cuore al male,
a compiere azioni criminose con i malfattori:
che io non gusti i loro cibi deliziosi.
dal Salmo 140 (141)