Il lavoro è una delle motivazioni più diffuse per decidere di cambiare Paese. Sono oltre 150 milioni i lavoratori migranti nel mondo. Dentro un numero gigantesco sono contenuti destini differenti. Ci sono contadini che fuggono da campagne inaridite dal riscaldamento globale o dalla costruzione di dighe per la produzione di energia elettrica, come ci sono laureati che scelgono una posizione lavorativa adeguata alle loro esigenze. Certo dentro quel numero le proporzioni non sono le stesse, come non è lo stesso il ceto di provenienza, né il paese di origine.
L’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, ha pubblicato un rapporto sui lavoratori migranti, cercando di offrire la stima migliore del fenomeno. L’intento è favorire politiche migratorie inclusive e la promozione di eguali diritti per tutti.
Sono indicativi i luoghi di attrazione dei flussi: quasi la metà si concentra nel Nord America e in Europa, mentre nei Paesi arabi il numero di immigrati lavoratori compone quasi il 35% delle forze lavoro complessive.
All’interno del contesto mondiale si può inquadrare la crescita, di oltre il 40% negli ultimi dieci anni, dell’emigrazione italiana. A partire, sono soprattutto giovani e laureati. Se non riusciremo a sostituire adeguatamente le risorse umane più innovative che se ne vanno, potremo testimoniare quanto possano impoverire un Paese i flussi migratori. L’emigrazione, per i Paesi di partenza, è un grave problema perché tende a bloccare la società e a depauperarla delle forze più attive.
C’è poi una seconda questione da affrontare, quella più importante, e riguarda le persone: come ha affermato papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2015: «Chi emigra è costretto a modificare taluni aspetti che definiscono la propria persona e, anche se non lo vuole, forza al cambiamento anche chi lo accoglie». Questo accade anche nei luoghi di lavoro, nelle singole aziende, nelle relazioni sindacali, dove non tutti sono adeguatamente consapevoli dei propri diritti ad esempio. Ma accade anche nel mercato del lavoro che vede il modificare la struttura precedente, quando anche i cittadini stranieri iniziano a diventare imprenditori e quindi a promuovere loro abitudini e modelli lavorativi.
Oggi la situazione è più complessa, perché i nuovi arrivati non tagliano il cordone ombelicale con la loro storia: uno degli elementi caratterizzanti le migrazioni della nostra epoca è il transnazionalismo che permette di mantenere i contatti con la propria famiglia, il Paese di origine, la comunità di appartenenza. Soprattutto attraverso le nuove tecnologie di comunicazione dagli “smartphone” ai canali delle tv satellitari si possono continuare a mantenere i legami con le persone lasciate in patria e si può rimanere aggiornati sugli eventi e sulle vicende del proprio Paese.
Per il mondo del lavoro si tratta di comporre le differenze e le peculiarità, in modo da valorizzare, invece di uniformare, le potenzialità.