Coding. “Chi era costui?”, verrebbe da dire con un sussulto di manzoniana memoria. Già, perché adesso è il momento del coding che, tradotto coi sottotitoli in italiano e con una certa libertà, vuol dire più o meno “programmazione”, quella informatica, per intenderci.
Sono già 1.176 le classi, 448 gli insegnanti e oltre 22 mila gli studenti che – attraverso il progetto triennale “Programma il futuro”, nato dalla collaborazione fra il Ministero dell’Istruzione e il Cini (Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica) – hanno potuto sperimentare il coding a scuola attraverso una serie di lezioni, interattive e non -, messe a disposizione dal Miur e dal Cini per le istituzioni scolastiche. Non occorrono particolari requisiti o abilità tecniche e ogni scuola le può utilizzare compatibilmente con le proprie esigenze e la propria organizzazione didattica.
A ottobre c’è stata la prima prova generale, in concomitanza con la Settimana europea del coding (dall’11 al 17 ottobre) e adesso (dall’8 al 14 dicembre) si replica, ipotizzando una partecipazione di oltre 8 mila classi e 155 mila studenti. I primi giudizi sull’esperienza fatta sono stati positivi: il 98% dei docenti ha valutato il progetto utile o molto utile, l’87% degli studenti è stato interessato o molto interessato e il 79% dei professori ha dichiarato che le aspettative sono state soddisfatte.
“Programma il futuro” fa parte del progetto “La buona scuola” e – spiegano Miur e Cini – ha «l’obiettivo di fornire alle scuole una serie di strumenti semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti di base dell’informatica». L’esperienza è partita dagli Stati Uniti e ha già coinvolto nel 2013 circa 40 milioni di studenti e insegnanti di tutto il mondo. L’Italia – spiegano i promotori – «sarà uno dei primi Paesi al mondo a sperimentare l’introduzione strutturale nelle scuole dei concetti di base dell’informatica attraverso la programmazione (coding), usando strumenti di facile utilizzo e che non richiedono un’abilità avanzata nell’uso del computer».
Tutto bene. Ma perché? Presto detto: vista l’ormai grande diffusione dei computer, «per essere culturalmente preparato a qualunque lavoro uno studente di adesso vorrà fare da grande è indispensabile una comprensione dei concetti di base dell’informatica. Esattamente com’è accaduto in passato per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica».
Ci sarebbe da approfondire. E anche da riflettere sul rapporto scuola/lavoro, con i rischi di “funzionalità” sempre in agguato. La presentazione del progetto offre poi uno spunto interessante, spiegando che «il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche pensiero computazionale, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, qualità che sono importanti per tutti i futuri cittadini». Qui viene da riconoscere meglio il ruolo della scuola. «Il modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale – sottolinea sempre il progetto – è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco».
La prospettiva è interessante. Pone tra l’altro, una volta di più, il problema delle risorse e delle dotazioni delle scuole italiane (informatiche, ma senza dimenticare… i muri) e a ben vedere si possono immaginare parecchie difficoltà. Ma vale la pena guardare avanti, per migliorare continuamente la proposta scolastica, che qualifica il Paese intero.