Due episodi simili, a poca distanza di tempo, uno a Cremona e l’altro nella Bergamasca. Protagonisti, giovani atleti e i loro genitori. Lo scenario: due palestre dove si disputavano i campionati di pallavolo, femminile e maschile, under 13 e under 12. Ragazzine e ragazzini, che dovrebbero imparare dallo sport regole elementari per lo stare insieme, competizione mitigata dal senso del rispetto e della collaborazione reciproca, agonismo e gioco, gioia e frustrazioni che sono – si passi il termine un po’ aulico – “scuola di vita”. Mamme e papà, con loro, che anche accompagnando i figli su un campo o in palestra, “fuori” dal loro recinto, con regole che non sono quelle di casa, dovrebbero promuovere autonomia e, nello stesso tempo, impararla, metabolizzare quella difficile distanza tra se stessi e i figli che è sana “conquista” educativa.
Succede, però, che in entrambi i casi proprio i genitori “impazziscano”. A Cremona s’insultano e si picchiano sugli spalti. Addirittura in palestra devono arrivare un paio di agenti di Polizia. E la partita, sospesa, è stata poi ripetuta “a porte chiuse”. Nella Bergamasca, a Scanzorosciate, copione quasi uguale: intemperanze e insulti sugli spalti, tra genitori e dirigenti dell’una e dell’altra squadra, fino a che una compagine addirittura abbandona il campo. Naturalmente, nell’uno e nell’altro caso, ci sono state conseguenze sportive, decisioni della federazioni, multe. Nel caso bergamasco c’è stato anche un esposto in Procura, avanzato da un genitore/avvocato.
Il tutto per due partite tra ragazzini, che dovrebbero svolgersi con serenità. E, a dirla tutta, i due casi citati non sono tanto rari. A chi frequenta gli ambienti dello sport giovanile capita in diverse occasioni d’imbattersi in genitori esagitati sugli spalti dei campetti e delle palestre. Il calcio, in particolare, è spesso caricato di attese e tensioni, anche quando a giocare sono bambini, quasi che tutti dovessero diventare grandi campioni, senza guardare in faccia a nessuno. Attese e tensioni che le famiglie portano con sé e che a volte esplodono, insieme a tante altre piccole e grandi frustrazioni, anche e forse soprattutto intorno ai figli, apertura sul futuro che si vorrebbe migliore, occasione di “riscatto”, spesso investimento e “patrimonio” da coltivare.
Ecco, tornando ai casi da cui siamo partiti, al di là della condanna quasi scontata degli atteggiamenti dei genitori coinvolti, viene da riflettere proprio sull’atteggiamento che talvolta si ha verso i figli e sulla fatica che i genitori fanno a impegnarsi in una vera promozione educativa. Viene da riflettere sulla necessità che le famiglie hanno di essere aiutate, anche se magari non ne hanno consapevolezza. Perché educare i figli è diverso dal crescerli, perché spesso prima di educare loro serve educare se stessi, perché tante volte per imparare a lasciar andare, a “mollare” le attese che soffocano e aiutare a sperimentare il bello della libertà – anche queste cose sono “in gioco” sui campetti e nelle palestre – occorre prima fare esperienza di un amorevole percorso di crescita. Anche gli adulti ne hanno bisogno. Capirlo e rendersene conto è un primo passo importantissimo.