Non vuol essere un “tribunale della comunicazione”, ma uno “strumento di servizio” per “la credibilità del giornalismo” e delle altre “professioni di comunicatori”. Da queste premesse l’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi) intende far partire un Osservatorio di Mediaetica, che ora è a livello di “laboratorio esplorativo” e del quale si è parlato l’11 dicembre a Roma, presso la sede de La Civiltà Cattolica, nel corso di un incontro con giornalisti, esperti di media e rappresentanti di realtà legate al mondo della comunicazione.
L’Osservatorio, nelle intenzioni del presidente dell’Ucsi, Andrea Melodia, «non vuol essere un’iniziativa estemporanea», ma avere una sua “continuità” nel tempo; non intende «fare moralismo o segnalare ciò che non va» – compito, quest’ultimo, necessario, ma per il quale ci sono già organismi preposti – bensì «fare approfondimenti tematici» e «mettere insieme competenze, esperienze, volontà di capire, capacità di studiare». Insomma, uno strumento che sia al servizio di chi fa comunicazione «per monitorare e comprendere la coerenza, la trasparenza e la reputazione su cui si fonda la credibilità del giornalismo, e quella delle altre professioni di comunicatori». «Crediamo – ha chiarito Melodia – sia possibile costruire basi comuni sulle quali far fare al mondo della comunicazione passi avanti».
È un «ethos condiviso» quello che si vuole formare partendo «dall’ascolto di tutti», ha sottolineato l’assistente ecclesiastico padre Francesco Occhetta.
L’iniziativa che l’Ucsi sta elaborando muove dall’idea di fondo emersa nell’ultimo Congresso nazionale dell’associazione, che si è tenuto a inizio anno a Caserta, ovvero «impegnarsi per delineare principi e pratiche etiche nell’universo della comunicazione». E se un tempo all’interno dell’Ucsi si ipotizzava un più istituzionale “Comitato di Mediaetica”, «il quadro culturale era più omogeneo», oggi è in atto una «rivoluzione culturale» nella quale «la società è diventata plurale a diversi livelli: non è più garantita una “casa comune”, che prendeva forma per lo più in modo spontaneo nelle società tradizionali». Un cambiamento «raccontato, spesso inseguito, talvolta subito dai media e dai comunicatori, giornalisti o meno, che non hanno tempo di fermarsi a riflettere e a discernere» e verso i quali l’Osservatorio si vuol porre come un aiuto alla riflessione.
Punto di partenza, dichiara l’associazione, è l’«insegnamento sociale cristiano», che «non s’impone come confessionale, né propone soluzioni concrete, ma offre un quadro di principi entro cui muoverci e una metodologia di tipo induttivo, che parte dalle esperienze e dai problemi concreti che nascono nella storia e tra le culture, dai quali è possibile far emergere i principi in gioco». Presupposto dell’Osservatorio sono dunque «i due valori cardine della dottrina sociale: la nozione di persona (la dignità della persona è di natura ontologica, comporta l’uguaglianza di tutti gli uomini e di tutte le donne e costituisce la base dell’edificio sociale); il servizio al bene comune (di cui fanno parte la giustizia, la pace e la sicurezza)». E, d’altra parte, il «tessuto culturale» appare «particolarmente predisposto» ad accogliere un siffatto strumento, poiché «se, da una parte, il nostro è il tempo delle incertezze e sono scossi i riferimenti ai valori condivisi su cui si basa la convivenza sociale, dall’altra le persone sono affamate di senso, cercano attraverso la comunicazione dei vecchi e nuovi media strumenti cognitivi per leggere la loro storia, il tempo e il contesto culturale in cui vivono, le problematiche globali che in qualche modo li riguardano, e chiedono riferimenti per vivere il loro presente con dignità e realistica speranza».
Posti i principi di fondo, aver cura della Mediaetica «significa allora essere attenti alle condizioni che consentono alla persona di umanizzarsi sempre più, poterle riconoscere e saperle portare nello spazio pubblico», nonché «considerare l’informazione come bene comune, oltre la nozione condivisa di bene pubblico». «I cittadini – osserva l’Ucsi – apprendono quotidianamente dall’informazione una visione rimaneggiata del mondo, senza poter venire a conoscenza di ciò di cui essa non parla. Pertanto l’informazione non può né essere abbandonata alle leggi del mercato né essere affidata totalmente al controllo dello Stato, ma deve essere regolamentata in modo “conforme alle norme del servizio pubblico”», secondo quanto ricorda l’istruzione pastorale Aetatis Novae del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali.