Più informazione, meno copie. È il paradosso col quale deve fare i conti la stampa italiana, uno scenario coerente con quanto accade in quasi tutto l’Occidente. Nel giro di pochi anni quella che era una lenta erosione si è tramutata in una slavina che rischia di trascinare a fondo l’intero comparto editoriale. Con poche eccezioni (Avvenire è tra queste, grazie a un legame unico con una famiglia di lettori da anni in lenta e continua crescita), i quotidiani assistono al ridursi progressivo della diffusione.
La stessa integrazione tra carta e digitale si muove per tentativi, certo interessanti, ma che sinora non hanno risolto la questione della sostenibilità per l’intero sistema, lasciando semmai scorgere che il vero problema non è solo di tecnologie o di marketing. Allo stesso tempo, infatti, assistiamo a un consumo mai così continuo, intenso e ubiquo di informazione, che ci arriva – anche non richiesta – attraverso ogni tipo di supporto. Nella crescente domanda di notizie, che alimenta il proliferare delle fonti (peraltro non sempre limpide), e dentro l’ininterrotta esposizione a messaggi mediatici d’ogni tipo c’è un messaggio inespresso che va decifrato, oggi più di prima, per via della complessità dei fatti e della frantumazione del reale ai quali il lettore-consumatore di informazione non riesce a far fronte. È come se si cercasse altro che non sia solo il dato proposto (e scomposto) da un nugolo di media, percorsi e apparati, ma non lo si trovasse davvero. Il supermarket dell’informazione può gratificare la curiosità, ma non sazia la ricerca di uno sguardo capace di restituire l’orizzonte complessivo della propria conoscenza della realtà.
Per questo chi lavora a mettere in mano ogni giorno ai lettori, insieme alla copia di Avvenire, anche una «lettura adeguata del tempo presente», come scrive il cardinale Scola, sente vibrare nel più profondo le parole del nostro Arcivescovo quando dice che è «impegno esplicito» del quotidiano dei cattolici italiani «far emergere la questione del “senso” (significato e direzione di cammino) della vita». C’è un’attesa di comprensione documentata, libera e partecipe ancora largamente insoddisfatta che è nostro compito cogliere e ascoltare, accompagnando ogni persona che incrocia la nostra proposta informativa in quell’avventura del lasciarsi «provocare in continuazione dalla verità che viene al nostro incontro» alla quale ci chiama il Cardinale. È giusto definirla «impresa», e sentirla come tale. Perché è questa la garanzia che Avvenire resterà sempre se stesso: uno strumento, ovvero un compagno utile, un amico affidabile, un riferimento che rispetta e dialoga a partire dalla coscienza evangelica del dovere di «essere “seme buono” nel campo che è il mondo».
Il consolidato tandem domenicale con «Milano Sette» è sempre più l’esplicita dichiarazione di una fedeltà alla missione consegnata ad Avvenire ormai 45 anni fa – il 4 dicembre 1968 – dal suo fondatore Papa Montini, già arcivescovo a Milano, all’indomani del Concilio: un quotidiano nazionale nella diffusione e nel dialogo, cattolico e dunque globale negli orizzonti, ambrosiano nelle radici. Oggi quell’«impresa» si rinnova con un obiettivo ancor più ambizioso: alimentare con l’informazione firmata Avvenire e rilanciata in pagina, sul sito web, nei social network, su tablet e smartphone «la possibilità – così la descrive il cardinale Scola – che in noi abitino, vengano rinnovate, crescano e siano narrate le domande e la risposta sul senso dei fatti».
Al dunque, è questa la nostra sola, vera ambizione di giornalisti cattolici.