da Il Segno di novembre
Assiste il parroco, è responsabile della chiesa e delle celebrazioni, accoglie i fedeli: quella del sacrista è una professione ramificata, che necessita di una specifica formazione, di una sensibilità e, soprattutto, di una vocazione. Una persona molto importante per la vita parrocchiale. Se ne occupa il numero di novembre de il Segno, cercando di fare chiarezza su quello che è un vero e proprio lavoro.
Attraverso più testimonianze si offre il ritratto di una figura sempre presente nella vita di comunità. «Il calo delle vocazioni impone che i sacerdoti abbiano figure che possano aiutarli in maniera professionale. Il sacrista diventa quindi una figura preziosa, capace di stare in chiesa, di accogliere la gente e di dare le giuste informazioni quando serve», spiega Stefano Teneggi, da 23 anni sacrista del Duomo di Milano.
Ma quali sono le motivazioni che spingono a scegliere questo mestiere? Tutte le testimonianze raccolte concordano su un punto: la vocazione e un cammino di fede, perché non è certo un lavoro che attira per i grossi guadagni. E comporta anche dedizione e sacrificio. A questo si aggiunge «il grosso fraintendimento attorno alla figura del sacrista, visto semplicemente come una persona alla quale il parroco dà un lavoro. Questo retaggio ce lo portiamo ancora dietro, però oggi molti sacristi stanno contribuendo a far cadere questo pregiudizio», continua Teneggi.
Nella sola Unione diocesana sacristi di Milano sono iscritte 65-70 persone, mentre la Federazione nazionale ne conta circa 400, comprendendo in entrambi i casi i sacristi volontari e quelli assunti con il Ccnl. Secondo le stime del Cnel, in Italia ci sono circa 1.500 persone assunte. «Sicuramente c’è un sacrista in ogni parrocchia, ma sarebbe bello che il numero crescesse perché avere più persone vuol dire avere più idee, più possibilità di confronto e opportunità di organizzare qualcosa», sottolinea Teneggi. Una professione legata al territorio e alla parrocchia, una figura stabile che la gente vede sempre, indipendentemente dall’eventuale cambio del sacerdote. «Inoltre questi al suo arrivo può trovare nel sacrista un valido aiuto nel conoscere la realtà e le tradizioni del luogo».
È difficile che un sacrista cambi con la stessa frequenza di un parroco. Anzi, il radicamento in uno stesso luogo può assicurare alla comunità dei fedeli un senso di continuità. Essere sacrista è svolgere un servizio, afferma Paweł Rybicki, sacrista di origini polacche da 25 anni nella parrocchia del Santissimo Redentore vicino a piazzale Loreto, a Milano: «Quando svolgo il mio mestiere mi vengono sempre in mente le parole di alcuni salmi in cui il filo conduttore è la bontà del Signore che ti mette a servizio nella propria casa».