Parto da questo incontro mettendo nel mio paniere alcuni punti da mettere a confronto.
Primo. A me pare che questo invito dell’arcivescovo sia anche il richiamo a una politica capace di guardare al futuro senza essere costantemente costretta a fare i conti con tutto il proprio passato. Questo non trascende le differenze che sono sale e sostanza della democrazia stessa. Ma lo sguardo al futuro deve vederci sempre più tesi a trovare la strada da percorrere insieme alla contemporaneità. O siamo disposti a far questo oppure questa città è destinata (come il resto del nostro mondo) a far a meno di una mediazione e di una riflessione politica che ha sempre caratterizzato la storia di Milano. In un pianeta talmente interconnesso da fare dell’informazione la sua materia prima, la politica o reagisce o è destinata a veder tramontare la sua rilevanza. A meno che non si concepisca questo ruolo nell’assecondare qualsiasi voluttà popolare, fosse anche l’orrore che scaturisce dalla profondità della rete.
Secondo. «Milano non può perdere la sua vocazione all’apertura, perché proprio questa è iscritta nella sua identità, cioè la capacità di integrare il nuovo e il diverso. L’accoglienza, come categoria generale, non è per la milanesità solo un affare di buon cuore e di buon sentimento, ma uno stile organizzato di integrazione che rifugge dalla miscela di principi retorici e di accomodamenti furbi, e si alimenta soprattutto ad una testimonianza fattiva». Questo diceva, proprio tra questi scranni, il cardinal Martini. Io vorrei che tutti insieme riflettessimo sul fatto che, profeticamente, queste frasi non parlano della nostra cronaca ma della nostra storia, del nostro stesso modo di stare al mondo. Gli uomini e le donne, noi, facciamo parte dello stesso mondo e ogni nostra azione non può che essere concepita come parte dello stesso pianeta.
Non basta chiudere una porta per negare la realtà. Non possiamo restare a guardare per paura di essere travolti. Usiamo la testa, usiamo il cuore, usiamo il coraggio. Non possiamo concepire il ruolo della politica come un continuo confronto elettorale o come l’estenuante ricerca di un consenso minuto per minuto.
Terzo. L’invito alla collaborazione tra le istituzioni è un’opportunità preziosa e non rimandabile. Questa opportunità significa innestare la riflessione tra le migliori espressioni dall’esperienza milanese per generare concreti frutti di libertà e di innovazione sociale. Ma questo confronto deve avere soprattutto la capacità di includere il più possibile tutti coloro che intendono oggi la propria vita essenzialmente come partecipazione. La distinzione tra élite e popolo si supera solo con una partecipazione libera, schietta e aperta che dia al più ampio numero di persone possibile di “essere” insieme agli altri il bene comune.
Quarto. Noi dobbiamo rendere sempre più puntuale la nostra attenzione per i deboli, tanto più in un momento in cui la città vive, e deve continuare a farlo, un suo momento di crescita e di brillantezza. Una città forte non è quella che si specchia in sé, bensì una comunità che non ha mai la paura di guardare e di soccorrere i più deboli, persone che hanno il diritto per far sentire la loro voce e ottenere risposte di vita, di attenzione, di crescita e di assistenza. Le istituzioni insieme lascino i loro palazzi e con le loro persone, mettendo insieme i loro percorsi e le loro comuni volontà, tornino sul territorio della città, si prendano cura delle ferite aperte, le curino senza sprecare un attimo, un euro e un’opportunità. E vedremo la nostra città vivere lo stesso tempo e gli stessi sentimenti. Non è (solo) una questione di risorse: è il tema di esprimere ancora e sempre il cuore di Milano, credendo fermamente e concretamente che il Bene è più forte del Male.
Quinto. Siamo ambiziosi, anche nel pensare e nell’innovare, non dimenticandoci mai che Milano è stata laboratorio sociale di estrema importanza a livello italiano, ma anche continentale. Siamo liberi e ambiziosi curando e lenendo le nostre ferite e non disgiungendo mai crescita e solidarietà. E proprio qui potremo far spuntare il fiore di un futuro più giusto e più equo.