La gioia di cui ogni terra – anche quella ambrosiana – ha un disperato bisogno e l’inquietudine con la quale scuotere le coscienze, invitando alla conversione attraverso la pratica privilegiata della preghiera.
L’Arcivescovo che ordina 29 nuovi sacerdoti, in un Duomo gremito di migliaia di persone mentre all’esterno tanti ancora attendono di poter entrare, dice con chiarezza cosa significhi donare l’intera vita al Signore facendo il prete. Anche se si proviene da vicende esistenziali differenti, da esperienze che parlano spesso di una vita precedente già impegnata nell’ambito lavorativo, di età e situazioni diverse. 23 i presbiteri ambrosiani 2018, 5 i candidati del Pontificio Istituto delle Missioni Estere (4 originari dell’India e 1 del Cameroun), 1 per la Congregazione Benedettina Olivetana dell’Abbazia di Seregno. Tra i 23, espressione della Diocesi, il più “anziano” ha 46 anni, i più giovani la metà: ci sono 3 ingeneri, 2 architetti, diplomati, ex legali ed ex bancari. Insomma, un universo variegato, ma tutti insieme, con emozione, sono davanti a monsignor Delpini, che per la prima volta presiede il Rito delle Ordinazioni presbiterali, concelebrato da 11 Vescovi – il cardinale Angelo Scola e il patriarca copto del Cairo, Sidrak Ibrahim Isaac, assistono –, da 50 tra Vicari episcopali, Canonici del Duomo, Superiori ed Educatori del Seminario con il rettore, monsignor Michele Di Tolve e da oltre 300 sacerdoti. Tra i concelebranti anche l’abate dell’Abbazia di Seregno, Monsignor Michelangelo Tiribilli e il Superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca.
A ognuno – molti i familiari nelle prime file, gli amici, i fedeli di intere parrocchie nelle quali gli Ordinandi sono già impegnati – si rivolge monsignor Delpini prendendo avvio dal motto scelto dei 23 preti novelli ambrosiani: “E cominciarono a far festa”, con il brano del Vangelo di Luca al capitolo 15.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Avete fatto bene a sceglierlo. Questa terra, infatti, questa Chiesa ambrosiana, questa umanità che ha bisogno di tutto, ha però un bisogno immenso di gioia, di festa».
Una gioia che si cerca dappertutto e che, spesso, non si trova. «Perciò avete fatto bene a far risuonare, come titolo del vostro Ministero, la promessa della festa. Devo però dirvi che la gioia non si può comandare; non si può essere lieti per obbedienza e l’invito alla festa non può essere un impegno da imporre. La vostra gioia non basta neppure per voi stessi, figuriamoci se può bastare al desiderio del mondo di sperimentare la festa della gioia».
Quale, allora, l’impegno da proporre a sé e alla gente alla quale si è mandati?
La risposta, complessa, è sintetizzata da Delpini, che pare guardare i Candidati a uno a uno, in una parola sola: inquietudine. «Voi, noi siamo solo dei servi. Voi siete i servi dell’inquietudine. Siete incaricati di quella parola, di quella presenza, di quell’inquietudine che visita il figlio lontano, il figlio fallito, il figlio desolato, il figlio perso nella sua vita dissoluta per suscitare in lui la nostalgia di casa. Voi siete mandati per quell’invito a rientrare in se stessi che oggi sembra proibito e impraticabile; per quell’invito che convince alla conversione perché libera dalla disperazione e ricorda che c’è un Padre che aspetta».
Mandati, dunque, non a servire «il principe di questo mondo che ha convinto che il paese in cui siamo destinati ad abitare si chiama desolazione e solitudine», non a predicare la rassegnazione, ma a testimoniare il Signore e la sua gioia, operando come «uomini di preghiera che insegnano a pregare».
Il richiamo si fa chiarissimo: «Il primo tratto che viene in mente per descrivere i preti ambrosiani, che hanno tanti motivi di vanto e che sono famosi nel mondo per molte qualità, non è che siano uomini di preghiera che insegnano a pregare. Ma io non conosco altra via per aprire gli occhi sul mondo e riconoscervi la presenza della gloria di Dio, che non sia la preghiera».
E arriva, così, la consegna «Non scoraggiatevi, non accontentatevi della mediocrità, non dissimulate le vostre debolezze. Siate invece sempre servi in cammino, lasciatevi trasfigurare dalla docilità alla Grazia, abbiate la persuasione che la vostra umanità può essere plasmata dallo Spirito. Andate e invitate tutti perché la festa cominci: percorrete la terra, siate i servi dell’inquietudine che chiama a conversione, siate segno di un’umanità nuova».
Poi, i gesti, sempre suggestivi, della Liturgia dell’Ordinazione, con l’Impegni degli eletti, il “Sì, lo voglio” e il “Sì, lo prometto”, le Litanie dei Santi, l’Imposizione delle mani nel silenzio della Cattedrale e la Preghiera di Ordinazione, la Vestizione degli abiti sacerdotali, l’Unzione crismale e la gioia dello scambio della pace con l’Arcivescovo, gli ormai confratelli e anche con i genitori commossi.
E, prima dell’applauso che suggella la gioia della Celebrazione, ancora un grazie e quella raccomandazione per un dono da fare loro, che può essere utile per tutti: scrivere su un foglietto le famose espressioni paoline nel capitolo 4 della Lettera ai Filippesi: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, quello che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”.
«Mettetelo nel libro della vostra preghiera e ogni sera praticate l’esame di coscienza».
Infine, come sempre, dopo un breve il momento in casa dell’Arcivescovo, tutti ancora in mezzo alla gente con gli striscioni, i canti, i saluti festosi, i cori quasi da stadio, tra lo sguardo (un po’ stupefatto) dei turisti.